“In effetti, leggendo le parole dedicate da Karl Marx alle crisi economiche del suo tempo, la prima impressione è quella di una sorprendente familiarità. Leggiamo osservazioni che si riferiscono a crisi di 150 anni fa, e sembra che si parli di oggi. Quanto ai banchieri e agli uomini d’affari, troviamo testimonianze dell’assoluta incapacità – allora come oggi – di prevedere la crisi ancora alla vigilia del suo scoppio: Marx, per esempio, ricorda come essi nel 1857: «si congratulassero reciprocamente per l’andamento fiorente e sano degli affari un mese prima dello scoppio della crisi (6)». Venendo agli economisti, troviamo – allora come oggi – la fede nell’impossibilità della crisi, che a crisi scoppiata, si rovescia in moralismo e in critica all’imprudenza degli uomini d’affari: «Quando mai questi ottimisti borghesi hanno previsto o preconizzato una crisi? Non c’è stato periodo di prosperità in cui essi non abbiano approfittato dell’occasione per dimostrare che ‘questa volta’ la medaglia non aveva rovescio, che ‘questa volta’ il ‘fato’ era vinto. E il giorno in cui la crisi scoppiava, si atteggiavano a innocenti e si sfogavano contro il mondo commerciale ed industriale con banalità moralistiche, accusandolo di mancanza di previdenza e di prudenza». Sono parole tratte dall’articolo ‘Pauperismo e libero scambio’, pubblicato sul “New York Daily Tribune” del primo novembre 1852 (p. 65) (7). Tre anni dopo, questa volta in un articolo per la “Neue Oder-Zeitung”, Marx avrebbe ribadito analoghi concetti, in un’invettiva che sembra rivolta a certi odierni apologeti della globalizzazione, prontamente trasformatisi in fustigatori degli eccessi che a loro dire avrebbero condotto alla crisi attuale: «La crisi commerciale e industriale […] dal settembre scorso aumenta ogni giorno in veemenza e universalità. La sua ferrea mano ha subito tappato la bocca agli apostoli superficiali del libero scambio che andavano predicando da anni che dopo la revoca delle leggi sul grano, la saturazione dei mercati e le crisi sociali erano per sempre bandite nel regno delle ombre del passato. I mercati sono saturi, e adesso a gridare più forte sulla mancanza di prudenza che ha impedito ai fabbricanti di limitare la produzione sono quei medesimi economisti che ancora 5 mesi fa insegnavano con dogmatica infallibilità che non è mai possibile produrre troppo» (8). Quello che vale per gli economisti, vale a maggior ragione per i giornalisti di cose economiche. Anche in questo caso, l’esultanza per il buon andamento degli affari cede facilmente il passo, quando le cose non vanno più bene, all’indignazione morale. A fare le spese del sarcasmo di Marx a tale proposito è il «London Times», con le sue invettive contro le «bande di speculatori e falsificatori di cambiali senza scrupoli» che infestavano la ‘City’ di Londra e, più in generale, contro un «ceto degli affari marcio sino al midollo». Marx commenta: «Ora non ci chiederemo se i giornalisti inglesi, che per un decennio hanno diffuso la dottrina secondo cui l’epoca delle crisi commerciali si era definitivamente chiusa con l’introduzione del Libero Commercio, abbiano ora il diritto di trasformarsi improvvisamente da servili panegiristi a censori romani dell’arricchimento moderno» (p. 70). Ma il punto che sta a cuore a Marx è un altro: «Se la speculazione si presenta verso la fine di un determinato ciclo commerciale come immediato precursore del crollo, non bisognerebbe dimenticare che la speculazione stessa è stata creata nelle fasi precedenti del ciclo e quindi rappresenta essa stessa un risultato e un fenomeno, e non la ragione ultima e la sostanza del processo» (p. 70)” [Vladimiro Giacché, ‘Il ritorno del rimosso. Marx, la caduta del saggio di profitto e la crisi’] [(in) ‘Pagine Inattuali. Crisi e critica in Karl Marx. Dialettica, economia politica e storia’, Salerno, 2016, a cura di Giovanni Sgrò] [(6) Marx K., ‘Ökonomische Manuskripte, 1863-1867’, MEGA2, II. 4.2 / 540; (7) I numeri di pagina riportati direttamente nel testo si riferiscono alle pagine del volume Marx K., ‘Il capitalismo e la crisi. Scritti scelti’, a cura di V. Giacché, Roma, 2009; (8) Marx Karl, ‘La Costituzione britannica’, in “Neue Oder-Zeitung”, n. 109, 6 marzo 1855, MEW, 11/96; MEOC, XIV/53-54 (cfr. anche MEOC, XIV/ 59-60]