“L’analisi della posizione dei socialisti, anch’essi giudicati incerti (4), merita qualche considerazione particolare proprio perché uno studio organico sulla loro «politica coloniale» è ancora da fare, anzi, talune argomentazioni di Rainero ne rammentano l’urgenza. Per l’autore «… proprio in queste incertezze (5) stavano forse le radici dell’inefficacia dell’anticolonialismo italiano…» (p. 173). A parte ogni considerazione sulla maggiore o minore dipendenza dell’efficacia dell’anticolonialismo dalle incertezze dei socialisti, è chiaro che Rainero annette alla questione grande importanza; e tuttavia ci sembra che in più di un punto egli l’abbia trattata senza eccessivo approfondimento, con l’occhio rivolto piuttosto alle posizioni di certo socialismo italiano dell’epoca libica (cfr. pp. 172 e 233-234) delle quali vuole rintracciare in questo periodo lo stadio preparatorio. Oltre il pur temporaneo «consenso al colonialismo» (p. 172) di Turati, l’autore ritiene di poter rilevare, in un capitolo dedicato alle esitazioni dei socialisti ed agli scandali coloniali, altre occasioni in cui i socialisti ebbero «ripensamenti… sul fondo della questione coloniale» (p. 233) o (sarebbe questo il caso di Labriola) cominciarono ad essere rosi dal «tarlo del mal d’Africa» (ibid.), o fecero «dichiarazioni di interesse …. verso la colonizzazione eritrea» (p. 239). Osservazioni di questo genere appaiono come la parte più debole del volume e meno basata sul necessario lavoro di indagine sulle fonti e sulla storiografia socialista. Le pagine che destano perplessità sono soprattutto quelle (233 sgg) dedicate alla polemica suscitata dall’articolo di Antonio Labriola su «La questione sociale e la Colonia Eritrea», cui seguì una risposta di Turati, una replica dello stesso Labriola ed un breve intervento di Engels (6). L’articolo in questione, sulla possibilità di un esperimento di socialismo pratico in Africa (con una proposta di concessione di piccoli appezzamenti e sovvenzioni a contadini poveri per evitare l’accaparramento capitalistico delle terre della colonia) e l’intervento di Engels, sembrano costituire per Rainero un esempio significativo, oltreché una prova inoppugnabile, dell’interesse o addirittura della conversione dei socialisti a una qualche forma di colonialismo. Queste fonti sono state esaminate, a nostro avviso, con eccessiva disinvoltura; vengono infatti riportate le obiezioni di Turati alla proposta Labriola (e il reciso rifiuto di questa da parte del solito Ghisleri), ma non viene neanche presa in considerazione la successiva replica dello stesso Labriola. Con quest’ultima egli chiarisce di aver fatto la proposta, in un certo senso ‘ad absurdum’, rivolgendola sostanzialmente ai «radicali progressisti e filantropi», per dimostrar loro l’incapacità «… dello Stato borghese di risolvere uno solo dei problemi sociali secondo gli intendimenti nostri» e al contempo per far capire ai proletari la flagranza della «… contraddizione tra lo Stato presuntivamente democratico e l’abuso della pubblica finanza a vantaggio di pochi» (7). L’articolo di Labriola e la sua replica, che possono semmai dimostrare la mancanza, già sottolineata da Gramsci (8), di una visione moderna dei problemi dell’imperialismo, escludono certamente qualunque sua simpatia verso l’impresa d’Africa. Anche Engels (che Rainero cita in modo parziale) si muove sostanzialmente nella stessa direzione (9), anch’egli, sull’intera questione coloniale, è in una posizione politicamente cauta ma sicuramente lontana da qualsiasi inclinazione para-colonialista o da qualsiasi illusione su una possibilità di colonizzazione «democratico-contadina». Certo, Labriola e i socialisti rimangono «al di quà» del problema dell’imperialismo, ma è senz’altro scorretto il tentativo di sostenere che la prima guerra d’Africa e l’incipiente colonialismo italiano li abbiano trovati in qualche modo consenzienti e di far passare per «consenso» il loro tentativo di mettere a nudo i reali caratteri dell’impresa” [Carlo Carbone, ‘L’anticolonialismo italiano durante la prima guerra d’Africa’, ‘Studi storici’, Roma, n. 2, aprile-giugno 1972] [note: (4) Sembra concordare con R., oltre a P.C. Masini, da lui più volte citato, anche L. Avagliano: cfr. l’intervento di P.C. Masini, in ‘Il movimento operaio e socialista’, cit., p: 277 e L. Avagliano, ‘Alessandro Rossi e le origini dell’Italia industriale’, Napoli, 1970, pp. 286 sgg.; (5) R. si riferisce ad una poco perspicua considerazione di Turati del 1887, riportata a p. 172, per la quale peraltro omette di annotare il rinvio bibliografico; (6) Il tutto è ora quasi integralmente riportato in: A. Labriola, ‘Scritti politici’, Bari, 1970, pp. 199-208, e commentato nella ‘Introduzione’ di V. Gerratana alle pp. 58-61; (7) A proposito del presunto colonialismo di Labriola, si veda R. Battaglia, ‘La prima guerra d’Africa’, Torino, 1958, pp. 488-505, e l’intervento dello stesso Battaglia al convegno di studi gramsciani del 1958: Istituto Antonio Gramsci, Studi gramsciani, Roma, 1958, pp. 525-533; (8) A. Gramsci, ‘Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura’, Torino, 1966, pp. 116-118; (9) Vale forse la pena di sottolineare, sulla scorta delle indicazioni fornite dal lavoro di Ragionieri sull’influenza della socialdemocrazia tedesca sui socialisti italiani, che tale influenza si manifestò anche nel campo della questione coloniale. La elaborazione e la discussione intorno ad una strategia e ad una tattica del movimento operaio hanno i loro inizi nella Germania degli anni ’80 (la conferenza coloniale di Berlino è del 1885). Per la posizione di Engels si veda l’analisi di F. Andreucci, ‘La questione coloniale e la rivoluzione in occidente’, in ‘Studi storici’, XII (1971), n. 3, pp. 437-479]