“Accettando nel 1921 quello che si riteneva essere un temporaneo impedimento verso la mèta dell’autoconservazione con la rivoluzione, i capi comunisti della Russia si accinsero a far mostra di una notevole abilità nella tecnica della diplomazia, basata sull’equilibrio delle potenze. (…) La concezione leninista delle relazioni internazionali , sebbene non impedisse la pratica di una politica basata sull’equilibrio delle potenze da parte di uno scelto gruppo comunista, militava contro qualsiasi concezione di politica estera quale sistema continuativo di relazioni politiche, in cui i partecipanti medesimi potevano cambiare le loro posizioni, mentre il sistema stesso rimaneva relativamente immutato. Invece i capi russi continuavano, sebbene con frequenza ed entusiasmo decrescenti, a profetizzare la scomparsa dell’intero sistema e la sua sostituzione con una comunità proletaria internazionale. Il primo trionfo su vasta scala, riportato dai sovietici con i metodi della diplomazia tradizionale, fu il distacco della Germania da una posizione di dipendenza nei confronti della Francia e dell’Inghilterra con il trattato di Rapallo del 16 aprile 1922. Il successo di Rapallo sembra sia stato un colpo di fortuna sperato, ma inatteso. Nelle discussioni, che precedettero la partecipazione della Russia alla conferenza di Genova, Lenin continuamente mise in rilievo più le mète economiche che quelle politiche dei sovieti. Infatti i suoi discorsi pubblicati non contengono alcun accenno alla possibilità di un riavvicinamento tedesco-sovietico. Il fine della conferenza di Genova, come venne dichiarato da colui che ne fu l’animatore, Lloyd George, era la restaurazione dell’economia europea distrutta dalla guerra. Da una simile conferenza, a quanto pare, Lenin credeva che la Russia avesse molto da guadagnare. «Proprio sin dagli inizi noi dichiarammo che ‘vedevamo con piacere la conferenza di Genova e vi avremmo partecipato; noi comprendevamo benissimo, e non lo nascondevamo, che andavamo colà come mercanti, perché il commercio con i paesi capitalisti è assolutamente essenziale per noi (sino a quando essi non saranno completamente crollati), e che noi andavamo a Genova per discutere nel modo più leale e più favorevole le condizioni politicamente convenienti di questo commercio, e niente altro» (41). Non vi fu, secondo Lenin, né disaccordo né controversia su tale questione nel comitato centrale del partito oppure tra i gregari (42); indicazione, anche questa, della misura in cui le speranze e i desideri di una crociata rivoluzionaria erano spenti. Anche se il ripristino di rapporti commerciali sembra essere stato il primo obbiettivo sovietico, è evidente che anche i problemi politici furono presi in esame. Durante il viaggio a Genova la delegazione sovietica si fermò a Berlino e avviò delle conversazioni circa la possibilità di un nuovo accordo tedesco-sovietico (43). Entrambe le parti avevano da qualche tempo tastato il terreno nella ricerca di un accordo che consentisse di sfuggire alla pressione degli alleati vittoriosi. Secondo Louis Fischer, le conversazioni, che in definitiva condussero a Rapallo, cominciarono, sin dal 1920, nella cella di una prigione, occupata da Karl Radek (44). Esse non diedero risultati fino a quando gli alleati non furono scissi da una combinazione di circostanze e dalla tattica diplomatica tedesco-sovietica. Oltre all’Inghilterra, i principali partecipanti alla conferenza di Genova furono la Russia, la Francia, la Germania e l’Italia. Taluni interessi economici univano temporaneamente questi paesi contro i sovieti prima della conferenza. (…) All’apertura della conferenza Cicerin fece attenzione affinché le frasi rivoluzionarie non creassero contro di lui un fronte ostile. Lenin gli aveva già consigliato di «evitare parole grosse», discutendo il testo del suo discorso d’apertura (46). Perciò, e presumibilmente prendendo spunto da Lenin, Cicerin iniziò il suo discorso col dichiarare che la delegazione russa, pur rimanendo fedele ai principi generale del comunismo, riconosceva il bisogno di una cooperazione economica tra il vecchio e il nuovo sistema del mondo, durante la presente epoca storica (47). Questa concezione della «coesistenza pacifica di due sistemi sociali durante una data epoca storica» fu esposta in diverse altre occasioni successive, quando gli uomini di stato sovietici erano ansiosi di ottenere l’appoggio di un determinato paese capitalistico contro altri stati capitalisti” (pag 273-274) [Barrington Jr. Moore, Il dilemma del potere, Longanesi, Milano, 1953] [(note a pag 585): (41) «La posizione internazionale ed interna della Repubblica Sovietica», rapporto presentato a un’adunanza della frazione comunista del congresso panrusso del sindacato degli operai metallurgici, 6 marzo 1922, ‘Selected Works’, IX, 306; (42) “Rapporto politico del comitato centrale dell’undicesimo congresso del partito comunista russo”, 27 marzo 1922, ‘Selected Works, IX 327; (43) Rubinshtein, Sovetskaya Rossiya i Kapitalisticheskie Gosudarstva’, p: 298. In generale questa fonte dev’essere usata con precauzione, poiché essa evita scrupolosamente di menzionare la parte avuta da qualsiasi diplomatico sovietico che più tardi si sia identificato con Trotsky. Non è fatta alcuna menzione di Joffe e Rakovsky; (44) Soviets in World Affairs, I, 331; (45) Ibid. pp: 320, 326, 327; (46) Ibid. p. 464; (47) Dal testo del discorso di Cicerin in Kliuchnikov e Sabanin, Mezhdunarodnaya Politika, parte III, sezione I, p. 170] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]