“I pollici sotto il risvolto del panciotto, Lenin percorreva la stanza in lungo e in largo. Di tanto in tanto si fermava per lanciarmi un’occhiata beffarda. Alzava le spalle, ammiccava alla moglie che, a sua volta, dava un’alzata di spalle. Tenterò di esporre brevemente la sua replica: «L’ho ascoltato da “persona istruita”; ora spetta a lei. Anzitutto le consiglio di farsi assumere come ‘privatdozent’ di filosofia in una università tedesca. Logico approdo per chi è partito dal seminario di Bulgakov. Tanto più che ricorrono frequenti nel suo discorrere espressioni come “mistico” e “divino”. Caratteristiche dei ‘privatdozenten’ sono appunto la prolissità e la propensione ad occultare la realtà sotto una cortina di nebbia; a soffiarci sopra non si scoprono che parole prive di senso. Ritengo che non siano propriamente queste le qualità peculiari di un socialdemocratico. Supponiamo che un operaio le domandi: “Compagno, vuoi dirmi un po’ che roba è la cosa in sé?”. Se glielo spiega in maniera nebulosa di poco fa, l’operaio grattandosi il capo, dirà: “Non ci capisco un bel nulla; la cosa in sé non è roba per cervelli proletari”. E perché non ha capito nulla? Perché lei, anziché lumeggiare le verità elementari, inconcusse del materialismo, verità accessibili a ogni operaio, a ogni uomo di buon senso, ha raccontato delle favole. Un materialista può spiegare la cosa in sé, con buona pace di Kant, e rendere accessibile a tutti una nozione che si pretende dotta. Lei naturalmente, immerso com’è nel suo Mach, non avrà mai letto Lafargue. Ora le mostrerò come egli dia una risposta esauriente alla domanda. Aspetti un minuto”. (…) Lenin tornò con in mano un giornale francese «Le Socialiste» in cui era pubblicato l’articolo di Lafargue: «Il Materialismo di Marx e l’Idealismo di Kant». Quando, quattro anni dopo, in ‘Materialismo e empiriocriticismo’ ritrovai citato il brano, giudicato «profondo e penetrante», ne fui sbalordito. Lo trascrivo nella versione (pessima) di Lenin: «Un operaio, che mangia salame e percepisce cinque franchi al giorno, sa benissimo che il suo padrone lo sfrutta e che il salame è gradevole al palato e nutriente. Ma il sofista borghese, si chiami Pearson, Hume o Kant, dice: “Niente affatto. L’opinione dell’operaio è personale, ossia soggettiva: egli potrebbe allo stesso modo pensare che il padrone è un benefattore e il salame è fatto di cuoio tritato, giacché egli non può conoscere ‘la cosa in sé”». Esasperato, interruppi bruscamente Lenin: «Se lei considera il “cuoio tritato” come l’ultima parola della filosofia materialistica, è inutile continuare a discutere». Dopo un momento d’imbarazzo, disse: «Ha ragione. Ogni discussione con lei è superflua». Raccolsi i miei libri e mi congedai. Se dal colloquio con Plechanov avevo riportato un’impressione di disgusto, da quello con Lenin tornava a casa come un gatto scottato” (pag 199-201) [Nikolaj Valentinov, ‘I miei colloqui con Lenin’, Il Saggiatore, Milano, 1969] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]