“Lasciando da parte (…) le inutili disquisizioni sulla condizione «un poco più (o meno) proletaria» di determinate figure rispetto ad altre, sembra comunque chiaro ce al termine della fase fascista della politica di «contadinizzazione» dell’agricoltura ci si trova di fronte a una vastissima area di attivi in tale settore, estremamente eterogenei come condizione contrattuale e posizione nei processi produttivi e riproduttivi, la cui collocazione in termini di classe, se si fa riferimento al solo settore agricolo, appare per lo meno difficoltosa. Ciò che invece non sembra dubbio, è che i confini di tale area intersechino largamente tanto quelli delle fasce contadine propriamente dette (piccoli proprietari, piccoli affittuari, mezzadri, coloni, ecc.) quanto quelli del bracciantato di vario tipo e specie. Già Emilio Sereni (non traendone poi a nostro avviso le conseguenze fino in fondo) si era posto negli anni cinquanta questo problema, e aveva concluso che si trattava di un insieme di fenomeni la cui chiave interpretativa poteva essere fornita dalla categoria marxista di sovrappopolazione relativa, con particolare riferimento a due forme di esistenza di tale fenomeno: quella latente (o nascosta) e quella stagnante (23). Traendo spunto da quella indicazione, se ne possono sottolineare qui due implicazioni: a) in primo luogo, la questione controversa del processo di proletarizzazione che caratterizza molti aspetti dell’evoluzione delle fasce contadine italiane tra la fine degli anni venti e la fine degli anni cinquanta dovrebbe apparire risolta in quella luce – per così dire – per definizione. È Marx stesso, infatti, a chiarire che per «sovrappopolazione relativa» si intende quella parte del proletariato che eccede i bisogni di valorizzazione del capitale in ciascuna fase determinata del suo sviluppo (e la cui esistenza, dunque, non è frutto di particolari fasi di ristagno, ma deriva direttamente alla natura complessivamente capitalistica dei rapporti di produzione). Sembrerebbe dunque legittimo parlare di proletarizzazione dei contadini nel periodo in questione, intendendo con ciò dire che prima l’aumento (fase fascista) e poi la comunque perdurante altissima incidenza (1945-1960) di tale fascia di lavoratori sul totale della popolazione attiva sono determinati dalla tendenza di quote rilevanti della sovrappopolazione relativa – in assenza di altri sbocchi – a concentrarsi in agricoltura; b) in secondo luogo – e questo parrebbe ragionevolmente supportato da ciò che si diceva sopra sulle ragioni della «contadinizzazione» di quegli anni e sulle loro connessioni con gli orientamenti della politica economica dello stato – l’uso della categoria «sovrappopolazione relativa» esclude, ancora per definizione, qualsiasi ipotesi fondata sull’idea di una origine endogena, rispetto al settore, della «contadinizzazione» stessa (ad esempio, che tale processo sia un effetto d’una presunta «natura non capitalistica» del settore agricolo, o di una lentezza strutturale di quest’ultimo ad adeguarsi ai ritmi generali di sviluppo economico del paese)” (pag 330-331) [Giovanni Mottura, ‘Agricoltura e classi rurali tra fascismo e dopoguerra’] [(in) AaVv, ‘Storia della società italiana. Parte quinta. Volume XXIII. La società italiana dalla Resistenza alla guerra fredda’, Teti editore, Milano, 1989] [(23) Per la definizione della sovrappopolazione relativa e delle sue forme di esistenza v. il cap. 23 del ‘Capitale’ I, sez. VII. Non potendoci dilungare qui nella discussione di tale concetto, rimandiamo a ciò che abbiamo scritto in proposito nell’ultimo capitolo di G. Mottura – E. Pugliese, ‘Agricoltura, Mezzogiorno e mercato del lavoro’, cit. Le pagine di E. Sereni alle quali ci si riferisce sono in particolare quelle del cap. VIII di ‘Vecchio e nuovo nelle campagne italiane’, Roma, 1956: qualche osservazione sui limiti dell’utilizzazione del concetto di «sovrappopolazione latente» in tale testo sereniano si può trovare in G. Mottura, ‘Risultati e considerazioni della ricerca di sociologia e di economia agraria’, in ‘Mezzogiorno e contadini: trent’anni di studi’, cit., pp. 88-89]