“Dove avviene che la macchina prenda a poco per volta un campo di produzione, essa produce la miseria cronica negli strati operai che sono in concorrenza con essa. Dove il trapasso è rapido, l’effetto è di massa e acuto. La storia universale non offre spettacolo più orrendo della estinzione dei tessitori artigiani di cotone inglesi, graduale, trascinata per decenni, e infine sigillato nel 1838. Molti morirono di fame, molti vegetarono a lungo, assieme alle loro famiglie, con due ‘pence’ e mezzo al giorno. Invece acuto fu l’effetto delle macchine inglesi per la lavorazione del cotone nelle Indie Orientali, il cui governatore generale constatava nel 1834-35: «La miseria difficilmente trova paralleli nella storia del commercio. ‘Le ossa dei tessitori di cotone imbiancano le pianure indiane’. Certo, in quanto quei tessitori lasciavano questo mondo temporale, le macchine creavano loro solo «inconvenienti temporanei». Del resto, l’effetto «’temporaneo’» delle macchine è ‘permanente’, in quanto s’impadronisce di sempre nuovi campi di produzione. Quella figura indipendente ed estraniata che il modo di produzione capitalistico conferisce in genere alle condizioni di lavoro e al prodotto del lavoro nei riguardi dell’operaio, si evolve perciò con le macchine in un ‘antagonismo’ completo. Quindi con esse si ha per la prima volta la rivolta brutale dell’operaio contro il mezzo di lavoro” [testo tratto da K. Marx, Il Capitale, trad. D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma, 1964, vol. I., pp. 472-481] [(in) ‘Max Weber e la critica della società nel pensiero contemporaneo’ a cura di Carlo Bordoni e Alfredo De Paz, G. D’Anna, Messina Firenze, 1985 (pag 29-30)]