“Il 9 gennaio 1848 Marx tenne nell’Associazione democratica un discorso sul libero scambio. Egli avrebbe voluto tenere lo stesso discorso già al congresso libero-scambista di Bruxelles, ma non era riuscita ad aver la parola. Quello che egli dimostrava e confutava in questo discorso era l’inganno perpetrato dai libero-scambisti col «bene degli operai», che essi sostenevano fosse lo stimolo della loro agitazione. Ma se il libero scambio favoriva in assoluto il capitale a scapito degli operai, tuttavia Marx non disconosceva – e non lo disconosceva proprio per questo – che esso corrispondeva ai fondamenti dell’economia borghese. Era la libertà del capitale che abbatteva i confini nazionali entro i quali restava ancora impedito, per svincolare totalmente la propria attività. Esso spezzava le antiche nazionalità e spingeva all’estremo il contrasto tra borghesia e proletariato. Con ciò esso affrettava la rivoluzione sociale; e, in questo senso rivoluzionario, Marx era d’accordo col sistema della libertà di commercio. Nello stesso tempo egli si schermiva dal sospetto di nutrire tendenze protezionistiche, e pur approvando il libero scambio, non entrava affatto in contraddizione colla sua valutazione dei dazi protettivi tedeschi come di una «misura borghese progressiva». Come Engels, Marx considerava tutta la questione del libero scambio e del protezionismo da una posizione puramente rivoluzionaria. La borghesia tedesca aveva bisogno di dazi protettivi come di un’arma contro l’assolutismo e il feudalesimo, come di un mezzo per concentrare le sue forze, per attuare il libero scambio all’interno del paese, per promuovere la grande industria, che ben presto avrebbe finito col dipendere dal commercio mondiale, cioè più o meno dal libero scambio. Del resto il discorso trovò il vivo consenso dell’Associazione democratica, che decise di farlo stampare a sue spese in francese e in fiammingo. Più significative e più importanti di questo discorso furono le conferenze che Marx tenne nell’Associazione operaia tedesca sul tema ‘Lavoro salariato e capitale’. Marx partiva dal fatto che il salario lavorativo non è una partecipazione dell’operaio alla merce da lui prodotta, ma la parte della merce già esistente, con cui il capitalista si compra una determinata quantità di lavoro produttivo. Il prezzo del lavoro viene determinato come il prezzo di ogni altra merce: dai suoi costi di produzione” [Franz Mehring, Vita di Marx, Editori Riuniti, Roma, 1976] (pag 143-144)