“Dalla presa della Bastiglia alla Comune di Parigi, le rivoluzioni francesi appaiono sempre negli scritti storici e in quelli politici di Marx come episodi collegati d’uno stesso processo integrale e permanente. La prima ragione di questo punto di vista fuori dall’ordinario risiede nel fatto che Marx, nonostante le ripetute critiche alle limitazioni «piccolo borghesi» del giacobinismo, incarnava il paradigma del neo-giacobino, proprio a causa della sua interiorizzazione del concetto giacobino di radicalismo. In questi termini, il radicale è un attore politico che non ha intenzione d’arrestare il processo rivoluzionario, bensì di conservarne permanentemente l’impeto, se non addirittura d’accelerarlo (1). E’ in questo senso che, secondo Marx, le rivoluzioni del giugno 1830 e del febbraio 1848, così come il fronte repubblicano unito del 1871 che si ribellò contro il Secondo impero in decadimento e a cui prese parte anche il proletariato, costituiscono vari momenti dello stesso processo rivoluzionario iniziato nel 1789. La seconda ragione è l’apparizione d’una rivoluzione permanente ‘all’interno’ delle stessa rivoluzione permanente. Dagli ‘enragés’ del 1793-94 (2), passando per le rivolte proletarie del 1830 a Lione e di Parigi, fino alle barricate della classe operaia nella battaglia del giugno 1848 tra borghesia e proletariato e all’avvento della prima repubblica operaia del 1871, una rivoluzione proletaria sotterranea ha seguito il suo corso, così come ha fatto anche la rivoluzione borghese, ma tra vicissitudini ben più ardue e con obbiettivi totalmente differenti da quest’ultima. Tale secondo ciclo rivoluzionario era incluso nel primo, e più grande, poiché di fatto il proletariato ebbe un’unica ‘chance’ storica di governare secondo le proprie convinzioni, nel 1871. Fino ad allora il programma del proletariato assomigliava più ad un insieme di rivendicazione che a una reale opzione politica. Qual è, per usare il linguaggio degli antichi metafisici, il «sostrato» del primo processo rivoluzionario permanente? In che modo dobbiamo guardare al 1789, al 1793-94 (capitolo separato e autonomo della storia, secondo Marx), al Primo impero, ai moti del luglio 1830 e del febbraio 1848, per non parlare poi delle strutture politiche in continuo cambiamento che questi eventi hanno causato, per poterli considerare come momenti d’un unico ciclo storico? La risposta che ci si aspetta da Marx è: ‘tantae molis erat Romanam condere gentem’ [‘tanto costava fondare la gente romana’, ndr]; sono state necessarie energie e lotte secolari per seppellire il vecchio regime e instaurare l’ordine borghese con il suo nuovo modo di produzione. Tuttavia, ogni attento lettore di ‘Le lotte di classe in Francia’, ‘Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte’ e ‘La guerra civile in Francia’, è perfettamente consapevole del fatto che la spiegazione di Marx della (prima) rivoluzione francese permanente è infinitamente più complessa dell’esposizione d’un semplice contrasto tra «feudalesimo» e borghesia. Infatti la stessa borghesia stava lottando durante tutto il primo ciclo per realizzare un doppio obiettivo: la scoperta d’una forma adeguata di Stato centralizzato, e l’unificazione, malgrado le lotte intestine, di tutti i settori e i suoi gruppi in perenne competizione. Questi due obiettivi, uniti al grado di realizzazione raggiunto da ognuno di essi e a ogni nuova fase della prima «rivoluzione permanente», costituiscono il substrato di questo processo” [Ferenc Fehér, ‘Marx e le rivoluzioni permanenti’, MondOperaio, maggio 1991] (pag 115-116) [(1) Ho descritto il concetto giacobino di radicalismo in ‘Il giacobinismo ovvero la rivoluzione congelata’ SugarCo, Milano, 1989, nel capitolo ‘Che cos’è il “giacobinismo”?, in termini d’impegno per la continuazione, anziché per la conclusione, del processo rivoluzionario; (2) Ho analizzato la tendenza di Marx a oscillare da Roux a Bebeuf, che per Marx equivaleva alla prima ondata d’un comunismo ancora «grezzo» ne ‘La Sfinge della rivoluzione’, in ‘MondOperaio’, 7, 1989]