“Lenin, più acutamente di molti altri capi e teorici del comunismo a lui contemporanei, si accorse della necessità non solo di conservare, ma anche di normalizzare i rapporti mercantili-monetari nel primo periodo della conquista del potere. Ciò si vede fra l’altro dalla funzione che assegnava alla riforma monetaria i cui preparativi erano già in fase molto avanzata (19). Lo scoppio della guerra civile e la necessità di introdurre il «comunismo di guerra» impedirono la realizzazione di questi piani. Lenin naturalmente vedeva i motivi specifici che avevano fatto nascere il comunismo di guerra, e comprendeva che questo non costituiva una fase di sviluppo normale. Cionondimeno ammetteva che quella situazione particolare sarebbe potuta divenire qualcosa di più che un episodio, che gli atti compiuti sotto la pressione della necessità di mobilitare tutte le forze per difendere le conquiste della rivoluzione potevano diventare irreversibili, e quindi che ciò che sembrava inverosimile alla luce della fredda analisi delle premesse economiche – il salto diretto ad un’organizzazione della produzione e distribuzione dei beni «puramente comunista», – sarebbe diventata realtà. Non c’è dubbio che in tale concezione si rifletteva l’idea fondamentale che i rapporti mercantili-monetari erano un male necessario, di cui ci si doveva disfare alla prima occasione; il comunismo di guerra sembrava essere appunto quest’occasione e se ne voleva profittare. Lenin non lo nascose più tardi – quando apparve chiaro che si sarebbe dovuto tornare alle forme mercantili dei rapporti economici. «Avevamo calcolato – o per meglio dire supponevamo senza averne sufficienti ragioni – che mediante decreti dello Stato proletario saremmo riusciti, in un paese di piccole imprese agricole, ad organizzare la produzione statale e la ripartizione statale dei prodotti secondo principi comunisti. La vita ha dimostrato il nostro errore» (20). Ma perfino dopo che l’errore venne alla luce, il convincimento che la ripartizione del lavoro secondo grandezze naturali fosse l’unica forma appropriata alla dittatura del proletariato continuò a farsi sentire. Elaborare una nuova concezione non era cosa facile. «E’ avvenuto un cambiamento della nostra politica economica – riconosceva Lenin al II Congresso dell’Internazionale Comunista nella relazione sulla ‘tattica’ del Partito Comunista Russo – invece della requisizione è venuta fuori l’imposta in natura. Non l’abbiamo escogitata di colpo. Nella stampa bolscevica, durante parecchi mesi potete trovare una serie di proposte, ma il progetto, che realmente assicurerebbe il successo non è stato ancora avanzato» (21). (…) Nel periodo iniziale della NEP Lenin ritorna su certi pensieri abbozzati nel 1918 (‘Sull’infantilismo di sinistra e il sentimento piccolo borghese’) e sviluppa il concetto dell’impiego di forme mercantili-monetarie da parte dello Stato socialista nel periodo di transizione. Elemento importante di questa concezione era l’affermazione che lo sviluppo delle forme mercantili – monetario nel quadro della NEP – non poteva limitarsi alla sfera dei rapporti fra città e campagna, ma doveva abbracciare lo stesso settore socialista. «La conversione delle imprese statali al cosiddetto rendiconto economico è legata strettamente per forza di cose, con la nuova politica, e nel prossimo avvenire questo tipo di imprese acquisterà senza dubbio il predominio se non l’esclusività. In una situazione in cui il libero commercio è consentito e si sta sviluppando, questo significa in realtà una larga conversione delle imprese statali su base commerciale» leggiamo nel testo, scritto da Lenin, della risoluzione del CC ‘Funzioni e compiti dei sindacati durante la NEP’ (23). In tale situazione era evidente la necessità di basare i criteri di efficienza dell’industria statale sul rendimento, il che era legato con un lungo periodo di autonomia delle aziende o dei trusts. Lenin riconobbe allora che applicare delle forme di mercato al meccanismo di funzionamento delle aziende statali non equivaleva affatto a respingere l’idea della pianificazione centralizzata, soprattutto se venivano concentrate le decisioni fondamentali in organi statali e se era possibile ingerirsi nell’attività delle aziende e dei trusts in casi giustificati da considerazioni economiche generali. Questo punto di vista fu espresso nella formula lapidaria: «La nuova politica economica ‘non cambia’ il piano economico unitario statale, e non esce dalla sua cornice, cambia solo ‘i metodi’ della sua realizzazione» (24)” [Wlodzimierz Brus, ‘Il funzionamento dell’economia socialista. Problemi generali’, Milano, 1963] (pag 29-32) [(19) Vedi ‘Rapporto presentato al congresso nazionale russo dei rappresentanti delle sezioni finanziarie dei Soviet il 18 maggio 1918, Dziela (Le opere), vol. 27, pp. 397-401 (ed. pol.); (20) W. Lenin, ‘Le opere’, vol. 33, p. 42 (ed. pol.); (21) W. Lenin, ‘Le opere’, vol. 32, p. 517 (ed. pol.); (22) W. Lenin, ‘Le opere’, vol. 33, p. 84 (ed. pol.); (23) W. Lenin, ‘Le opere’, vol. 33, p. 185-186 (ed. pol.); [(24) W. Lenin, ‘Le opere’, vol. 35, p. 517. (ed. pol.)] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:2 Febbraio 2018