“Ricollegandosi a una formulazione di Friedrich Engels, si è parlato a proposito della Riforma di una «rivoluzione protoborghese», perché «la Riforma che va dal 1517 al 1525 sarebbe una parte costitutiva nel processo di una rivoluzione che fu nella sua essenza borghese, come dimostrarono gli scopi, il corso, i soggetti sociali, i mezzi utilizzati e le conseguenze,… che si manifestarono per la società» (95). Per quanto riguarda la guerra dei contadini, negli avvenimenti sociopolitici fino al 1525 altri hanno «visto una rivoluzione dell’uomo comune in città e in campagna» (96) e non una rivoluzione borghese. Si è qui cercato, al contrario, di assumere un punto di osservazione più flessibile per descrivere storicamente la reciproca compenetrazione delle forze e dei movimenti religiosi e della società, senza privilegiare l’una o l’altra prospettiva. Lo scopo era quello di approfondire tanto la ‘comprensione’ religiosa e spirituale quanto l”interesse’ politico delle forze sociali, e di esaminare a fondo i punti di articolazione tra i due. Per tutti e tre i ceti – nobiltà, contadini e borghesia urbana – dal rinnovamento religioso, teologico e politico-ecclesiastico risultarono conseguenze politiche e sociali. Questo incrociarsi di religioso e sociale fu una caratteristica della società tedesca ed europea all’inizio dell’età moderna e per questo non si può ricondurre ciò che è accaduto a un concetto di rivoluzione, che dai rivolgimenti del tardo XVIII e del XIX secolo viene pensato come assolutamente secolarizzato. Furono le idee comunitarie dei riformatori che gettarono un ponte tra le richieste religiose e quelle sociali, e questo valse per tutti i ceti, gli strati, le «classi», come si possono pur sempre definire le formazioni sociali da un punto di vista storico-analitico. Dal momento che la condizione di partenza tanto economica che politica fu tuttavia di volta in volta differente, fu diversa anche la direzione dell’interesse e anche i risultati dell’insorgere non furono gli stessi. Per i cavalieri fu decisivo il non poter più raggiungere la posizione occupata nel medioevo. I contadini rimasero semplicemente il ceto suddito, sebbene all’interno di un mondo trasformato nel quale in maniera sempre più decisa i principi intervennero con funzione di regolamentazione nel rapporto tra signori fondiari e contadini e, nello stesso tempo, non persero di vista la necessaria protezione del «ceto dei produttori di sostentamento» (Nährstand) anche solo per motivi egoistici. La borghesia e le città uscirono rafforzate dalla Riforma, sebbene solo per due o tre generazioni. Se nell’esplosione della Riforma si vede una «rivoluzione protoborghese» o una «rivoluzione dell’uomo comune», allora il 1525, l’anno in cui i principi sconfissero il movimento dei contadini, è un punto di svolta epocale: prima il rinnovamento evangelico era una «Riforma del popolo» o «della comunità», dopo esso divenne una «Riforma dei principi» o «del consiglio»” (pag 203-204) [Heinz Schilling, ‘Ascesa e crisi. La Germania dal 1517 al 1648’, Bologna, 1997] [(95) Così da ultimo su questo problema Vogler, in ‘Zwingli und Europa’, cit, p. 51; F. Engels, in Marx, Engels, Lenin e Stalin, ‘Zur deutschen Geschichte’, cit., vol. I, p. 617; (96) P. Blickle, ‘La riforma luterana e la guerra dei contadini: la rivoluzione del 1525, Il Mulino, , cit., pp. 224-225]