“Kautsky critica Engels: gli Stati sorgono principalmente per conquista: «Lo stesso Engels è dunque d’avviso che lo Stato possa formarsi in diversi modi. Ad esempio per conquista. Ma secondo la forma più pura e più classica lo Stato dovrebbe nascere dai contrasti di classe, che si sviluppano nel seno stesso della società gentilizia. Per lungo tempo ho condiviso questa concezione, finché a poco a poco non mi sorsero molti dubbi sulla “forma più pura e più classica”. Tanto più diedi allora libero corso a questi dubbi, quanto più mi riuscì di cancellare il carattere di mera teoria della violenza dalla mia ipotesi che si fondava sulla terza “forma principale” (la formazione degli Stati per conquista), mettendo così in chiaro il condizionamento economico della violenza – mediante la quale vennero fondati Stato e classi – e inquadrando senza contraddizioni la mia ipotesi nella concezione materialistica della storia». [‘Die materialistische Geschichtsauffassung’, Berlin, 1927, vol. II, p. 89]. «Ricondurre la genesi dello Stato e l’ascesa delle classi alla conquista non significa affatto che le classi si siano formate ovunque e in ogni circostanza in questo stesso modo, né che un’altra genesi dello Stato sia impossibile… Ma nei territori in cui ha inizio la storia scritta, la storia degli Stati e delle lotte di classe, qualsiasi origine delle prime classi e dei primi Stati può essere ricondotta all’opera di un conquistatore, almeno nella misura in cui questi può venire riconosciuto e ha lasciato tracce, dalle quali sia possibile ricostruire la sua esistenza» [op. cit., p. 94]. Stati che sorgono quando un popolo di pastori sottomette un popolo di contadini: «Se prendiamo in considerazione il forte contrasto presente nella vita spirituale dei contadini e dei pastori nomadi – i primi agiati, ma di indole torpida, inadatti alla lotta e arrendevoli, i secondi poveri, bellicosi, arditi e spesso dotati di un’intelligenza vivace e adattabile – scorgiamo in loro due fattori il cui incontro, a un certo stadio dello sviluppo, fece sì che i pastori rendessero sudditi e tributari i contadini. Singole tribù di pastori riunirono diverse comunità contadine e raggruppamenti di contadini facendo capo allo stesso mercato, in una collettività dominata e sfruttata dai pastori, che smisero pertanto di essere tali. Così vennero creati i primi Stati» [op. cit., p. 107]. «Due condizioni sono necessarie affinché i nomadi che hanno combattuto e vinto una tribù contadina non si limitino a saccheggiarla o a imporle il pagamento regolare di un tributo, ma si stabiliscano invece nella terra dei vinti, assumendone l’amministrazione. La tribù dei conquistatori deve acquisire una certa comprensione per la natura e le necessità caratteristiche del modo di produzione della popolazione soggiogata, altrimenti quest’ultima viene ben presto ridotta in rovina e invece di uno Stato si crea un deserto. Questa comprensione può formarsi solo grazie a prolungati rapporti con la tribù che più tardi viene sottomessa, rapporti che possono essere amichevoli – scambi commerciali -, o violenti- imposizione e riscossione dei tributi. In entrambi i casi è necessario che le due tribù vivano geograficamente vicine. Quando stirpi nomadi provenienti da lontano penetrarono in regioni di civiltà a loro del tutto estranea, poterono solo saccheggiare e distruggere, ma non furono in grado di fondare Stati destinati a durare… Un certo livello culturale dei conquistatori è una delle condizioni che portano alla formazione degli Stati. Ma non basta; è altresì necessario che le popolazioni soggiogate abbiano raggiunto un certo livello economico. I ricavi della loro produzione devono essere tali che ne possano vivere non solo i coltivatori, ma anche i loro padroni. Altrimenti anche questi ultimi sono costretti a dedicarsi all’agricoltura, – ma a ciò si oppone la loro natura – oppure restare fermi alla loro vecchia economia nomadica, il che esclude la possibilità di fondare uno Stato» [op. cit., pp. 112, sg.]. Lo Stato non è necessariamente strumento delle classi sfruttatrici: «Tutto l’enorme movimento della società, iniziatosi con l’ascesa del capitale industriale e portato avanti dalla lotta di classe del proletariato, non potrebbe continuare senza trasformare completamente lo Stato medesimo, provocando cioè non solo rivolgimenti all’interno dello Stato, ma trasformandone da cima a fondo l’essenza stessa. Questo già avviene per l’ascesa della democrazia moderna, del moderno Stato democratico, il quale si trova… in netto contrasto con la natura dello Stato di origine storica, basato a priori sull’ineguaglianza dei diritti dei diversi ceti, comunità e classi che lo costituivano. L’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini, il riconoscimento di diritti e doveri civili e politici eguali per tutti, segnano una cesura rispetto allo Stato quale era fin dai suoi inizi, lo Stato, cioè, che si fondava sulla conquista e l’assoggettamento violento, da parte di una minoranza vittoriosa della maggioranza dei popoli e dei gruppi etnici in esso raggruppati. Tuttavia questo Stato democratico non significa ancora l’eliminazione di tutte le classi, bensì solo l’abolizione di quelle diversità fra i ceti, che poggiano sulla violenza. Esso non ha eliminato col suo sorgere le differenze di classe di natura puramente economica, formatesi all’interno dello Stato, e fondate su determinati rapporti di proprietà e di produzione, che si possono quindi conciliare con l’eguaglianza giuridica di tutti. Lo Stato democratico non impedisce che le classi sfruttatrici requisiscano il potere statale e lo usino nel proprio interesse contro le classi sfruttate. La differenza fra il moderno Stato democratico e le forme statali precedenti consiste invece nel fatto che lo sfruttamento dell’apparato statale ai fini delle classi sfruttatrici non ne costituisce l’essenza e non è indissolubilmente legata ad esso. Al contrario, lo Stato democratico tende per la sua stessa struttura a essere non l’organo di una minoranza come gli Stati precedenti, bensì, l’organo della maggioranza della popolazione e quindi delle classi lavoratrici. Se esso diviene l’organo di una minoranza sfruttatrice, ciò non dipende dalla sua natura, bensì dalla situazione delle classi lavoratrici, dalla loro ignoranza, dalla mancanza di unità, di indipendenza, dalla loro incapacità di lottare – il che, a sua volta, è il risultato delle condizioni in cui esse vivono. Ma è proprio la democrazia a offrire la possibilità di distruggere queste radici del potere politico dei grandi sfruttatori in regime democratico, ciò che almeno i lavoratori salariati, in numero sempre crescente, compiono via via con maggior successo. Quanto più questo avviene, tanto meno lo Stato democratico si limita a essere un puro strumento delle classi sfruttatrici. In certi casi, l’apparato statale comincia a rivolgersi contro di queste, cioè a funzionare in netto contrasto con quella che era la sua attività precedente. Da strumento di oppressione esso prende a trasformarsi in uno strumento di liberazione degli sfruttati” (op. cit., pp. 597-599)] (pag 18-21) [Iring Fetscher, ‘Il marxismo. Storia documentaria. Volume terzo. Politica’, Milano, 1970]