“G. I. Miasnikov (assassinato da Stalin) fu il solo bolscevico a chiedere insistentemente, dopo il 1917, che si lasciasse libertà di parola a tutti i partiti senza eccezione, ritenendo che questo fosse il solo mezzo di salvare il partito minato dalla corruzione del potere. Il regime sovietico, egli diceva, «deve mantenere a sue spese un gruppo di detrattori, come facevano in altri tempi gli imperatori romani». E’ nota la risposta di Lenin: «noi non abbiamo alcuna intenzione di suicidarci; perciò non lo faremo» (XXXII, p. 537). Questa fu l’ultima posizione di Lenin sulla libertà di stampa, «questo brillante fuoco fatuo» (ibid., p. 541). Nella sua replica, Miasnikov gli ricordò che la sola ragione per cui egli poteva ancora esprimersi liberamente consisteva nel fatto che era un vecchio bolscevico, mentre migliaia di comuni operai marcivano in prigione per aver detto le stesse cose che aveva dette lui. Espulso dal partito nel 1922 egli formò un gruppo di opposizione detto «Gruppo operaio» che venne liquidato nel settembre 1923. Da allora il problema della libertà di stampa è completamente scomparso dall’orizzonte «marxista-leninista». Fu in questo senso che Rosa Luxemburg scrisse in prigione il suo memorabile saggio sulla Rivoluzione russa. «La libertà riservata ai soli sostenitori del governo, ai soli membri del partito, per quanto numerosi siano, non è la libertà. La libertà è sempre la libertà di colui che la pensa diversamente. Non per fanatismo della giustizia, ma perché tutto ciò che vi è di istruttivo, di salutare, di purificatore nella libertà politica dipende da ciò e perde la sua efficacia quando la ‘libertà’ diventa un privilegio» (1). Questa critica amica restò senza risposta. Tre anni più tardi gli insorti di Cronstadt invocavano, secondo lo spirito della Costituzione sovietica e del programma di ottobre, elezioni libere ai soviet, libertà di parola e di stampa per gli operai e i contadini, l’abolizione dei privilegi del partito unico e il ritorno a un governo normale dei soviet. Fu Trotsky che diede allora l’ordine di cannoneggiare coloro che in passato aveva definiti l’«orgoglio della rivoluzione» e fu un’altra futura vittima di Stalin, Tukacevski, che guidò l’assalto finale contro la fortezza degli insorti… Tuttavia, sbaglierebbe chi pensasse, alla luce di tutto ciò, che i bolscevichi fossero già riusciti a sbarazzarsi integralmente delle vecchie convinzioni e ad abituarsi all’idea del partito unico. Ci si può fare un’idea della coscienza inquieta di questo periodo di transizione leggendo il discorso di Zinoviev (assassinato da Stalin) all’XI Congresso del partito nel 1922: «Noi siamo il solo partito che esiste legalmente… Noi abbiamo privato i nostri avversari di ogni libertà politica… ma non possiamo comportarci diversamente». Era l’ultima eco di mezzo secolo di lotte marxiste contro il blanquismo” (pag 67-68) [Kostas Papaioannou, La “dittatura del proletariato” e il suo destino] [(in) ‘1867-1967. Un secolo di marxismo’, a cura di Renato Pavetto, Firenze, 1967] [(1) Rosa Luxemburg, ‘La Révolution russe’, éd. Spartacus, 1937, p. 25] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]