“Il problema della colonizzazione eritrea non viene ignorato, ma affrontato in modo ambiguo e senza la necessaria determinazione da parte dei socialisti. Un dialogo a distanza, sulle colonne di «Cuore e Critica», si accende tra due massimi esponenti del socialismo italiano, Antonio Labriola e Filippo Turati (21). La discussione ruota inizialmente intorno al problema della colonizzazione eritrea ed alle soluzioni sull’utilizzo delle terre africane. Labriola parte dalla constatazione che «in Africa tanto ci siamo e ci rimarremo». L’opposizione dei radicali e dei socialisti, che non è valsa ad impedire l’inizio di una simile avventura, «…non è stata poi in seguito, né così forte, né così risoluta e precisa, da fare che quando si poteva se ne tornasse in tempo» (22). A questo punto è più opportuno, per Labriola, interessarsi della colonia, impedirne uno sfruttamento capitalistico, «… creare un sistema di coltivazione, o diretta o sussidiata», provare le forme della partecipazione e della cooperativa «occasione ottima per un esperimento di socialismo pratico» (23). Turati, sollecitato a intervenire dallo stesso Labriola, prende subito le distanze da tale impostazione del problema e la sottopone ad una severa critica. A suo parere il socialismo non è sperimentabile: «Esso si fa, non si prova… Forzare l’evoluzione, cancellare un periodo economico, saltare a piè pari dalla tribù africana al collettivismo sembrami un sogno» (24). Socialismo, quindi, frutto di una evoluzione di cui non si può alterare il ritmo. Anche i paesi africani, come ogni società, devono passare attraverso lo stadio capitalistico prima di giungere al collettivismo. Turati ipotizza la possibilità per questi paesi di percorrere certe fasi più rapidamente, ma a condizione di essere «…tratti a rimorchio dai paesi civili non già precorrendoli» (25). Marx ed Engels avevano avanzato una simile ipotesi in merito alla trasformazione del comune russo (26). I loro brevi e frammentari scritti sulla questione coloniale sono alquanto contraddittori. Il loro eurocentrismo poggia sulla convinzione della imminenza della rivoluzione in Europa e sul significato di rottura storica che il sistema capitalistico, la sua diffusione, ha per i paesi extraeuropei. Non mancano comunque apprezzamenti per il ruolo autonomo e attivo che i paesi coloniali possono giocare all’interno di una strategia mondiale della rivoluzione socialista. Turati ritiene una specie di utopia esigere dal governo italiano, un governo borghese, l’attuazione in Eritrea di una politica contraria agli interessi da esso rappresentati: «In Africa dovremmo tutto attendere dallo stato – ossia dal governo -, da Crispi, da donna Lina, dai banchieri, dagli innumerevoli mantenuti della Camera». Gli esperimenti socialisti sono fatalmente destinati al fallimento perché sono «un assurdo economico…» e resterebbero «asfissiati» da un ambiente esterno di natura opposta ed ostile (27). Dal dibattito emerge subito con chiarezza, a parte alcune opportune precisazioni di Turati, la mancanza di una condanna esplicita della politica africana. Palese è l’assenza di qualsiasi tentativo di analisi della nuova dinamica imperialista. La colonizzazione eritrea diventa pretesto per affrontare tematiche di ben altra natura. Al fondo della poco felice proposta di Labriola c’è la preoccupazione per lo sviluppo del movimento operaio, per la diffusione della dottrina socialista, per i mezzi più idonei per radicare nel movimento operaio una salda coscienza di classe e per sottrarlo alla influenza politica della borghesia. Labriola diffida della propaganda generica. Ritiene più utile mettere le masse di fronte ad esempi concreti capaci di evidenziare i limiti della borghesia, la sua incapacità a risolvere i problemi del paese. Da qui la sua proposta «ad absurdum» per mettere sotto gli occhi dei proletari «…non la questione astratta della proprietà e del capitale, ma dei casi concreti come questo dell’Eritrea, in cui si vede come nasce la proprietà borghese e come il capitale si impossessa della terra, ed è flagrante la contraddizione fra lo stato presuntivamente democratico e l’abuso della pubblica finanza a vantaggio di pochi» (28). Turati è puntuale nel cogliere la debolezza di una simile iniziativa che «sembraci tema di lezione e conferenza più che di agitazioni popolari» (29). Ormai il tema della colonizzazione non interessa più nessuno dei due interlocutori. Centrale nella loro discussione diventa il partito, l’organizzazione delle masse e la sua fusione con la coscienza socialista. (…) Labriola intuisce i limiti profondi dell’anticolonialismo democratico e socialista, ma è capace soltanto di proporre una accettazione di fatto della presenza italiana in Africa. (…) Sia Turati che Labriola arrecano all’anticolonialismo socialista più danni che altro. Turati col suo liquidare la questione coloniale come secondaria alla strategia attuale del movimento operaio e con richiami eurocentrici alla funzione «civilizzatrice» del capitalismo e della borghesia; Labriola con una accettazione di fatto della politica africana. La mancanza di una ricognizione dettagliata e puntuale delle molteplici cause all’origine della scelta imperialistica impedisce la ricerca della strategia più idonea per opporsi alle imprese coloniali” [Ciro Dota, ‘Il dibattito sul problema coloniale nella stampa socialista (1887-1900)’, ‘Storia contemporanea’, Il Mulino, Bologna, n 6, 1979] [(21) ‘La questione sociale e la colonia eritrea’, in «Cuore e Critica», 16 aprile 1890: la lettera che dà avvio al dibattito scritta da Labriola a Baccarini, pubblicata per la prima volta sul foglio fiorentino «Il Risveglio» del 9 marzo 1890 è riportata, unitamente all’articolo apparso su «Cuore e Critica», in A. Labriola, ‘Scritti politici’, a cura di V. Gerratana, Bari, 1970, pp. 199-208; (22) A. Labriola, op. cit., p. 199; (23) Ibid., pp. 201-202; (24) ‘La questione sociale e la colonia eritrea’, cit., p. 74; (25) Ibid.; (26) Cfr. H. Carrère d’Encausse, R. Schram Stuart, ‘Il marxismo e l’Asia dal 1853 ad oggi’, Roma, 1967, p. 104. Su Engels si veda inoltre il saggio di F. Andreucci, ‘Engels, la questione coloniale e la rivoluzione in occidente’, in “Studi Storici”, settembre 1971, pp. 437 ss.; (27) ‘La questione sociale e la colonia eritrea’, cit., p. 74; (28) Ibid., p. 75; (29) Ibid.]