“Una delle critiche più frequenti che vengono rivolte alla teoria marxiana riguarda il fatto che Marx «(…) prevedeva una crescente povertà delle masse, mentre le masse in ogni paese capitalistico vivono meglio di quanto vivessero qualche decennio fa» (1). Marx ha in effetti formulato la legge di assoluta pauperizzazione secondo la quale «quanto maggiori sono la ricchezza sociale, il capitale in funzione (…), tanto maggiore è l’esercito industriale di riserva. (…) Ma quanto maggiore sarà questo esercito di riserva in rapporto all’esercito operaio attivo, tanto più in massa si consoliderà la sovrappopolazione la cui miseria è in proporzione inversa del tormento del suo lavoro (…), tanto maggiore [è] il pauperismo ufficiale. ‘Questa – dice Marx – è la legge assoluta, generale dell’accumulazione capitalistica’» (2). Questa legge è confutata dalla realtà, asseriscono da qualche decennio gli avversari del marxismo: e ciò è tanto più pericoloso per il marxismo in quanto la legge costituisce un pilastro fondamentale della teoria marxiana della rivoluzione; è proprio la pauperizzazione assoluta della classe operaia il fattore che dovrebbe muovere questa direzione della lotta contro il capitalismo. Nel dibattito polemico con i critici della legge di assoluta pauperizzazione, i marxisti hanno utilizzato i più svariati argomenti. Alcuni hanno asserito che la legge di assoluta pauperizzazione non è stata formulata da Marx, bensì è opera dei suoi successori. Altri hanno richiamato le osservazioni critiche di Engels riguardanti il passo del ‘Programma di Erfurt’, nel quale si asserisce che la miseria della classe operaia aumenta, e hanno da questo inferito che Engels non riconoscerebbe la legge di assoluta pauperizzazione; più tardi sono stati commentati in modo simile alcuni passi di Lenin. Altri ancora si sono sforzati di mostrare che, considerando il sistema capitalistico nel suo insieme e cioè congiuntamente ai paesi arretrati, la legge di assoluta pauperizzazione viene soddisfatta. Nella nozione di salari reali alcuni includono l’intensità del lavoro e giungono a constatare che i salari reali, così concepiti, diminuiscono in un’economia capitalistica, sebbene i salari reali, concepiti nel modo usuale, non mostrino affatto una tendenza alla diminuzione (3). Non vi è da meravigliarsi se questi tentativi di difendere la legge di assoluta pauperizzazione destano, negli avversari del marxismo, l’impressione che si cerchino vie d’uscita attraverso le quali, senza negare i fatti, sia consentito tuttavia di rimanere fedeli a una dottrina che ne viene confutata. Non vi è da meravigliarsi se Popper, secondo il quale il socialismo marxista è «fondato sulla ‘profezia del sempre crescente’ sfruttamento dei lavoratori» (4), asserisce che fra i marxisti soltanto Marx aveva un atteggiamento scientifico, perché soltanto Marx ha formulato la previsione secondo cui la miseria sarebbe cresciuta e si è mostrato disposto a confrontarla con i fatti. I successori di Marx invece, sulla base della falsificazione di questa previsione, anziché rifiutare la legge di assoluta pauperizzazione «(…) reinterpretarono sia la teoria che i dati per farli concordare. In questo modo essi salvarono la teoria dalla confutazione; poterono farlo al prezzo di adottare un espediente che la rendeva inconfutabile» (5). Si può tuttavia notare come le critiche rivolte alla legge di assoluta pauperizzazione siano basate su una incomprensione di carattere metodologico della legge. La legge è stato formulata da Marx nel libro primo del ‘Capitale’, quando Marx manteneva ancora tutte le assunzioni idealizzanti della legge del valore. Bisogna ricordare come Marx abbia assunto che le merci vengono scambiate secondo il loro valore. Marx tuttavia a questo punto della analisi si basa ancora su altre assunzioni idealizzanti, ad esempio, l’assunzione di una società capitalistica pura (cfr. il cap. II). Questa costituisce una assunzione idealizzante, se Marx stesso osserva che nelle prime parti del ‘Capitale’ «Non sono sviluppati (…) i rapporti reali entro i quali avanza il processo di produzione reale. (…) Non si considera né la concorrenza dei capitali, né il credito, né la costituzione reale della società che non consta affatto semplicemente delle classi degli operai e dei capitalisti industriali, in cui quindi i consumatori e produttori non si identificano e la prima categoria di consumatori (i cui redditi sono in parte secondari, derivati dal profitto e dal salario, non sono primitivi) è molto più ampia della seconda e perciò il modo in cui essa spende il suo reddito e il volume di quest’ultimo provocano grandissime modificazioni nel bilancio economico e specialmente nel processo di circolazione e di riproduzione del capitale» (6). In modo analogo, Engels, esaminando il meccanismo di formazione del saggio generale del profitto, constata che esso «(…) giunge solo ad una realizzazione del tutto approssimativa presupponendo che la produzione capitalistica si affermi interamente dappertutto, cioè che la società si riduca alle moderne classi dei proprietari fondiari capitalisti (industriali e commerciali) e lavoratori, ma che tutti i gradi intermedi siano tolti di mezzo» (7)” [Leszek Nowak, ‘La scienza come idealizzazione: i fondamenti della metodologia marxiana’, Bologna, 1977] [(1) M. Bober, ‘Karl Marx’s Interpretation of History’, Cambridge, Mass., 1950, p. 93; (2) Marx, ‘Il Capitale’, cit., vol. I, p. 705; (3) La storia di questa controversia è esaminata da Z. Kluza-Wolosiewicz, ‘Teoria rozwoju kapitalizmu w dyskusjach socjademokracji niemieckiej’ (La teoria sullo sviluppo del capitalismo nelle discussioni della socialdemocrazia tedesca), Warszawa, 1963, pp. 97123. La fase contemporanea della controversia trovò la sua espressione nei lavori contenuti nella raccolta ‘O wsplczesnym kapitalizmie’ (Sul capitalismo contemporaneo), discussione da “Cahiers Internationaux”, Warszawa, 1960; (4) Popper, ‘The Open Society and Its Enemies’, trad. it. cit., vol II, p. 432, nota 13; (5) Popper, ‘Conjectures and Refutations’, trad. it, cit., p. 68; (6) Marx, ‘Teorie sul plusvalore’, ed. Editori Riuniti, cit, vol. II, p. 534; (7) Lettera di Engels a Schmidt, del 12 marzo 1895, in K. Marx – F. Engels, ‘Lettere sul “Capitale”‘, cit., pp. 191-192]