“Nell’analizzare le teorie degli economisti borghesi sulla colonizzazione, Marx ironizza sulle disavventure di un capitalista inglese che, trasferitosi armi e bagagli negli Stati Uniti, “era stato tanto previdente da portare con sé, oltre al resto, tremila persone della classe lavoratrice, uomini, donne e bambini: ma, arrivati a destinazione, il signor Peel rimase senza un servo per rifargli il letto e per attingere acqua al fiume. Povero signor Peel, che aveva preveduto tutto fuorché l’esportazione allo Swan River dei rapporti di produzione inglesi!” (1). Quelli che avrebbero dovuto essere i suoi operai, l’avevano infatti abbandonato per stabilirsi nel paese come liberi coloni. Gli Stati Uniti hanno vissuto questa vicenda, si può dire, per ogni lavoratore e operaio che, scacciato dall’Inghilterra e dall’Irlanda dal processo di accumulazione e di conseguente espropriazione capitalistica, vi si trasferiva con la famiglia dopo aver abbandonato macchine e rapporti sociali senza sapere che, fatalmente, avrebbe ricreato quegli stesi rapporti sociali che aveva abbandonato in Inghilterra e in tutto il continente europeo. Contrariamente alle aspettative, la buona terra americana non sarebbe rimasta un’idillica oasi di pace e di felicità (così come veniva propagandata dalle comuni oweniste e dai falansteri fourieristi) ma doveva ferreamente riprodurre tutta la storia e lo sviluppo della madre patria inglese a cominciare proprio dagli “orrori dell’accumulazione primitiva”. In tal modo, i primi coloni, essi stessi vittime della violenza in Europa, dovettero a loro volta esercitarla nei confronti delle popolazioni indigene dell’America: gli indiani. Essi dovettero prima respingere le tribù indigene verso ovest, poi annientarle e rinchiuderle in riserve per poter occupare le ricche terre dell’Ovest e per poter così intrecciare, tra i diversi “territori” e stati, stabili rapporti commerciali e di produzione. Il fatto che il capitalismo sia stato importato dall’Inghilterra in forma già sviluppata, in “tutta la sua purezza”, non significa che negli Stati Uniti esso “abbia vinto” senza dover lottare e compiere salti rivoluzionari. In realtà il primo passo per l’affermazione del modo di produzione capitalistico consistette proprio nel genocidio del popolo indiano come mezzo più rapido per colpire alla radice le strutture e i rapporti sociali che esso esprimeva nella tribù (2). Il fatto è che “la scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena seppellita nelle miniere, (…) la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. Questi procedimenti idilliaci sono ‘momenti fondamentali dell’accumulazione originaria’” (3). L’Inghilterra non ha quindi esportato direttamente negli Stati Uniti le sue forme di produzione più sviluppate. La base sulla quale si svilupperanno, non senza contraddizioni, la nazione e il capitalismo americani, è la piccola produzione mercantile agricola e artigianale. Per determinare il proprio sviluppo l’America dovette quindi scuotere il giogo coloniale inglese (guerre del 1775-1783 e del 1812-1814) per permettere che le tredici colonie – piccola frazione del futuro territorio nazionale – potessero dichiarare l’indipendenza e dar vita, sulla base della piccola produzione mercantile, a un’evoluzione economica e sociale relativamente autonoma. E’ questo il momento di stacco, il momento in cui ha inizio il processo storico con cui si compie la rivoluzione nazionale borghese e che permette l’instaurazione del modo di produzione capitalistico. Contrariamente allo sviluppo delle altre rivoluzioni borghesi, la rivoluzione americana procederà per salti, per grandi crisi successive via via che maturano le forze economiche: lungo è il cammino che va dalla piccola produzione mercantile – condizione prima per lo sviluppo del capitalismo – in cui il lavoratore è proprietario dei prodotti del suo lavoro, alla produzione dispiegatamente capitalistica in cui il lavoratore è salariato e ha smesso di appropriarsi dei frutti del suo lavoro” [dall’introduzione di Raffaele Rinaldi, in K. Marx F. Engels, ‘La guerra civile negli Stati Uniti’, Milano, 1973] [(1) K. Marx, ‘Il Capitale, Roma, 1964, I, p. 829; (2) Sui metodi di disgregazione delle strutture sociali esistenti nelle colonie, cfr. in particolare K. Marx, ‘Il sistema fondiario in Algeria al tempo della conquista francese’ e ‘Amministrazione e leggi agrarie’ (note a margine del libro di Jean Phear, ‘Il villaggio ariano in India e a Ceylon’), ambedue in K. Marx e F. Engels, ‘Sulle società precapitalistiche’, Milano, 1970. Sulle tribù indiane, cfr. F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato’, Roma, 1963, cap. III, (3) K. Marx, ‘Il Capitale’, cit., I, p. 813]