“Il pensiero di Marx – studiato intensamente sulle fonti negli anni 1890-1895 – diventa per Labriola non soltanto la concezione teorica della trasformazione socialista della società, ma anche un prezioso canone d’interpretazione della storia d’Italia. Il nuovo punto di vista teorico non porta, peraltro, Labriola ad abbandonare, bensì ad arricchire (di considerazioni strutturali) l’interpretazione spaventiana. In una concezione nella quale il pur decisivo «momento economico» non esaurisce da solo la comprensione dei fenomeni storici; come se «tutto il resto» fosse un «inutile fardello», un «accessorio», una «semplice bagattella»: «la storia, bisogna intenderla tutta integralmente», perché «in essa nocciolo e scorza fanno uno» (57). E con una consapevolezza – affinata da una più ampia e più approfondita conoscenza storica – della peculiare specificità della vicenda italiana nel contesto dell’Europa moderna. «La struttura sociale della Italia, – scriveva il filosofo al socialdemocratico tedesco Richard Fischer, il 22 aprile 1894 – (…) è ancora più arretrata dal livello considerato come presupposto nel ‘Manifesto del partito comunista’. Dobbiamo, teoricamente e praticamente, percorrere di nuovo tutto il cammino dello sviluppo, perché non siamo andati di pari passo con gli altri popoli». L’originale riflessione sul pensiero di Marx si accompagna costantemente, nell’ultimo decennio dell’attività intellettuale di Labriola, con lo sforzo di capire la storia d’Italia: Marx, del resto, doveva essere interpretato dal punto di vista del «cervello nazionale», così come Bertrando Spaventa aveva inteso ‘tradurre’ Hegel nella cultura del nostro paese. Nel primo dei ‘Saggi’ sul materialismo storico – ‘In memoria del Manifesto dei comunisti’ (1895) – dopo aver accennato alla questione contadina come questione di grande rilievo per il successo storico del socialismo («Finché i contadini non saranno conquistati, non avremo sempre alle spalle quell”idiotismo della campagna’, che fa o rinnova inconsapevolmente appunto perché idiotismo, il 18 brumaio e il 2 dicembre»), Labriola presentava come «istruttivo» il caso dell’Italia. Paese che – scriveva – dopo aver dato «già su la fine del Medioevo l’avviata all’epoca capitalistica, uscì per secoli dalla circolazione della storia» (58). Ad Engels aveva scritto – il 3 agosto 1894 – che «primi a difendere la legittimità dell’interesse contro l’opinione scolastico-canonistica» erano stati due santi: San Bernardino da Siena e Sant’Antonino; e quest’ultimo era divenuto arcivescovo di Firenze «proprio l’anno (1378) in cui fu battuta la Comune proletaria (i Ciompi)», dopo della quale in Firenze aveva cominciato a «dominare» «la vera borghesia». «L’Italia d’allora – così chiudeva la lettera – è la preistoria del capitalismo»” [Stefano Miccolis, ‘Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica’, a cura di Alessandro Savorelli e Stefania Miccolis, Milano, 2010] [(57) ‘Del materialismo storico’, in ‘Saggi sul materialismo storico’, cit., p. 83; (58) Ivi, pp. 47-49]