“Marx accennò l’idea di una ‘Revolution in Permanenz’ nel 1850, soprattutto nell”Indirizzo del Comitato centrale della Lega dei comunisti’ e ne ‘Le lotte di classe in Francia’ (51). In vista di una nuova insurrezione rivoluzionaria, la nuova tattica di Marx mirava ad evitare il ripetersi della situazione del ’48 in Germania, dove il proletariato aveva fornito la maggior parte dei combattenti sulle barricate, ma la borghesia aveva raccolto i frutti migliori della lotta. La reazione aveva trionfato perché un settore consistente dell’alta borghesia, spaventata dal radicalismo e dalla forza dimostrata dai lavoratori, tradì la democrazia e patteggiò con la monarchia per ottenere delle concessioni economiche, togliendo così ogni valore alla costituzione. I russi avevano già incorporato fino a un certo punto la direttiva di Marx nella dottrina dell'”egemonia proletaria”, ma nell’incalzare degli eventi del 1905 diventarono ancora più interessati ai mezzi per “accorciare la distanza”. La concezione tattica enunciata da Marx era ben lungi dal presentarsi teoricamente completa e internamente coerente, e questi, dopo il 1850, non vi tornò più sopra. Ma proprio perché essa concerneva una situazione per così tanti aspetti analoga a quella della Russia del 1905, non sorprende che l’idea di fondo venisse ripresa. Qui non ci interessa la storia e l’uso del termine “rivoluzione permanente”, ma esso è utile come categoria generale in quelle visioni che contemplano, in determinate condizioni, la possibilità di una transizione accelerata e ininterrotta della rivoluzione democratico-borghese a quella socialista. Esso presuppone un continuo coinvolgimento rivoluzionario del proletariato, pur essendo tuttavia senza importanza se questo avviene nel diretto esercizio del potere o attraverso una pressione organizzata dall’esterno Nel 1905 Lenin non fece riferimenti precisi al termine “rivoluzione permanente”, e neppure l’ispirazione gli venne direttamente dagli scritti di Marx. Piuttosto egli aveva reagito negativamente all’idea di Martynov di una pressione rivoluzionaria da esercitarsi dall’esterno sul presunto governo borghese, idea in conflitto con l’estrema sfiducia che egli nutriva per i liberali e con la sua convinzione per cui solo il proletariato e i contadini avrebbero potuto condurre le misure democratiche fino alla loro logica conclusione. Il solo riferimento che Lenin fa ai fondatori del marxismo, in questo suo primo scontro, è fatto per correggere quella che riteneva una falsa interpretazione data da Martynov al famoso passo della “Guerra dei contadini in Germania”, dove Engels aveva dichiarato che “il peggio che possa accadere al capo di un partito estremista è di essere costretto a prendere il potere in un momento in cui il movimento non è ancora maturo per il dominio della classe che egli rappresenta e per l’attuazione di quelle misure che il dominio di questa classe esige” (52). Lenin affermava che Engels intendeva mettere in guardia contro “quella falsa posizione che è il risultato dell’incomprensione, da parte del capo, degli effettivi interessi della ‘sua’ classe e dell’effettivo contenuto di classe della rivoluzione” (53)” [Allan Wildman, Movimento operaio e rivoluzione borghese in Lenin, (in) ‘Annali’ Feltrinelli anno XV 1973, 1974] [(51) Marx-Engels, Werke, cit, vol. 7, pp. 89, 254; (52) Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania’, Roma, 1949, pp. 134-35; (53) Lenin, La socialdemocrazia…, cit, p. 254] [Lenin-Bibliographical-Materials]   [LBM*]