“[T]utta la politica di comunismo di guerra ci era imposta dalla situazione di fortezza assediata, e di una fortezza con un’economia disorganizzata e le risorse esaurite. Potreste chiedere se ci aspettassimo di realizzare la transizione dal comunismo di guerra al socialismo senza compiere svolte economiche di fondo, senza esperimentare convulsioni, senza operare ritirate, cioè realizzando la transizione, più o meno, lungo una linea ascendente. Sì, è vero che in quel periodo abbiamo effettivamente pensato che lo sviluppo rivoluzionario in Europa occidentale sarebbe stato più rapido. Ciò è incontestabile. E se il proletariato nel 1919 avesse conquistato il potere in Germania, in Francia, in tutta Europa, tutto il nostro sviluppo economico avrebbe assunto una forma completamente diversa. Nel 1883 Marx scriveva a Nicola Danielson, uno dei teorici del populismo russo, che, se il proletariato avesse preso il potere prima che l”obstcina’ russa fosse stata completamente abolita, allora persino l”obstcina’ avrebbe potuto diventare uno dei punti di partenza per lo sviluppo comunista della Russia. E Marx aveva assolutamente ragione. Avevamo ancora più ragione noi a ritenere che, se il proletariato europeo avesse conquistato il potere nel 1919, avrebbe potuto prendere a rimorchio il nostro paese arretrato – arretrato in senso economico e culturale -, esso sarebbe accorso in nostro aiuto tecnicamente e organizzativamente e ci avrebbe in tal modo consentito, correggendo e modificando i nostri metodi di comunismo di guerra, di procedere direttamente verso una genuina economia socialista” [Lev Trotsky, Problemi della rivoluzione in Europa. I primi anni dell’Internazionale comunista, Milano, 1979, a cura di Livio Maitan]