“E mentre svolgevano il proprio compito di promotori della lotta di classe, i socialisti erano chiamati altresì assumere un ruolo di supplenza nei confronti della Democrazia, che aveva abdicato dai propri ideali e dalla propria specifica funzione politica, ed erigersi a difensori delle libertà statutarie conculcate dal governo. Il giudizio negativo nei confronti dell’Estrema Sinistra, lungi dall’attenuarsi diveniva ancora più netto: «Intanto tutti i partiti borghesi, che già furono popolari, e parvero baluardo al dispotismo, si stanno liquidando con velocità accelerata. L’Estrema Sinistra che, in altri tempi, di fronte agli eccessi attuali, avrebbe mandato in Sicilia i suoi migliori, si limita ora a giostrare di timide proteste e di innocenti interpellanze. Cavallotti, già arcangelo pellegrino contro il colera, ora non si muove; quest’altra pestilenza non lo tange. Colajanni fa salamelecchi al Lavriano e collabora seco; da Crispi, cui conferma la sua tenace fiducia, supplica la scarcerazione di alcuni amici personali, socialisti contemplativi, e un arbitrio e un dispotismo soltanto un po’ meno feroci» (26). Ma questo giudizio lapidario sull’Estrema Sinistra era tutt’altro che privo di dubbi e di contraddizioni, se si considera che sul numero successivo della «Critica Sociale» apparve, con un’introduzione di Turati e della Kuliscioff (27), la lettera con cui Federico Engels consigliava ai socialisti di appoggiare, pur mantenendo la propria autonomia, la rivoluzione antifeudale e potenzialmente repubblicana che si intravedeva all’orizzonte come risposta della borghesia più avanzata alla reazione crispina (28). Il parere di Engels era stato sollecitato direttamente dalla Kuliscioff che, senza attenuare minimamente il giudizio negativo sulla Democrazia, aveva prospettato al più illustre rappresentante del socialismo internazionale l’alternativa tra due possibili scelte politiche: seguendo la prima, prospettata dai «dottrinari» e dagli «immobilisti», i socialisti sarebbero stati alla finestra, senza prendere parte agli eventi, mentre adottando la seconda avrebbero dovuto aderire alle agitazioni in corso, che avrebbero forse portato anche alla proclamazione della repubblica. Quest’ultima soluzione, implicitamente suggerita a Engels, era da lui completamente condivisa: nella sua risposta considerava infatti possibile un rivolgimento politico, o addirittura rivoluzionario, ad opera della piccola e media borghesia esasperata, appoggiata dai contadini. Si sarebbe potuto quindi costituire un governo di repubblicani «convertiti», che avrebbe consentito di ottenere il suffragio universale e altre importanti riforme, e persino la repubblica, un obiettivo che però – bisognava non scordarlo – non rappresentava per i socialisti la loro ultima meta. Vi era tuttavia nella lettera di Engels un passaggio che Turati e la Kuliscioff, palesemente soddisfatti della risposta ricevuta, evitavano di considerare, pur essendo tutt’altro che secondario: per Engels i repubblicani «convertiti», erano evidentemente i radicali, indicati del resto come «i Cavallotti e compagnia» ed i socialisti avrebbero commesso «il più grande degli errori» se di fronte ai partiti «affini» si fossero limitati «a una critica puramente negativa». E concludeva scrivendo «Potrà arrivare il momento nel quale fosse dover nostro di cooperare con essi in modo positivo. Quando sarà questo momento?» (29)” [Maurizio Punzo, ‘La politica delle cose. Filippo Turati e il socialismo milanese, 1883-1914’, Milano, 2017] [(26) F. Turati, ‘La borghesia abdica’, ‘Critica sociale’, n. IV, n. 2, 16 gennaio 1894, pp. 20-21; (27) Noi, ‘La nostra tattica’, vi, n. 3, 1° febbraio 1894, pp. 34-35. Il testo originario della lettera di Engels, in francese, si trova in ‘Filippo Turati e i corrispondenti stranieri. Lettere 1883-1932’, a cura di D. Rava, Piero Lacaita, Manduria, 1995, pp. 86-90. Ivi la lettera della Kuliscioff, con la postilla di Turati, di cui quella di Engels costituiva la risposta (pp. 84-86); (28) F. Engels, ‘La futura rivoluzione italiana e il partito socialista’, Londra, 26 gennaio 1894, in “Critica Sociale”, a. IV, n. 3, 1° febbraio 1894, pp. 35-36; (29) Ibid.] (pag 68-70)