“Dopo aver calcato per qualche giorno il selciato delle strade principali, dopo esser penetrati con grande fatica nel brulichio umano, tra le file interminabili di carri e carrozze, dopo aver visitato i «quartieri brutti» della metropoli, soltanto allora si rileva che questi londinesi hanno dovuto sacrificare la parte migliore della loro umanità per compiere tutti quei miracoli di civiltà di cui la loro città è piena, che centinaia di forze latenti in essi sono rimaste inattive e sono state soffocate affinché alcune poche potessero svilupparsi più compiutamente e moltiplicarsi mediante l’unione con quelle di altri. Già il traffico delle strade ha qualcosa di repellente, qualcosa contro cui la natura umana si ribella. Le centinaia di migliaia di individui di tutte le classi e di tutti i ceti che si urtano tra loro non sono ‘tutti’ esseri umani con le stesse qualità e capacità, e con lo stesso desiderio di essere felici? E non devono forse ‘tutti’, alla fine, ricercare la felicità per le stesse vie e con gli stessi mezzi? Eppure si passano accanto in fretta come se non avessero nulla in comune, nulla a che fare l’uno contro l’altro, e tra loro vi è solo il tacito accordo per cui ciascuno sul marciapiede tiene la destra, affinché le due correnti della calca, che si precipitano in direzioni opposte, non si ostacolino a vicenda il cammino; eppure nessuno pensa di degnare gli altri di uno sguardo. La brutale indifferenza, l’insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale emerge in modo tanto più ripugnante e offensivo, quanto maggiore è il numero di questi singoli individui che sono ammassati in uno spazio ristretto; e anche se sappiamo che questo isolamento del singolo, questo angusto egoismo è dappertutto il principio fondamentale della nostra odierna società, pure in nessun luogo esso si rivela in modo così sfrontato e aperto, così consapevole come qui, nella calca della grande città. La decomposizione dell’umanità in monadi, ciascuna delle quali ha un principio di vita particolare e uno scopo particolare, il mondo degli atomi è stato portato qui alle sue estreme conseguenze. E’ per questo che la guerra sociale, la guerra di tutti contro tutti, è dichiarata qui apertamente. Allo stesso modo dell’amico Stirner (2), gli uomini considerano gli altri soltanto come oggetti utilizzabili; ognuno sfrutta l’altro, e ne deriva che il più forte si mette sotto i piedi il più debole, e che i pochi forti, cioè i capitalisti, si impadroniscono di ‘tutto’ mentre ai molti deboli, ai poveri, a malapena resta la nuda vita. E ciò che vale per Londra vale anche per Manchester, Birmingham e Leeds, vale per tutte le grandi città. Dappertutto barbara indifferenza, duro egoismo da un lato, e miseria indicibile dall’altro, dappertutto la guerra sociale, la casa di ogni singolo in stato d’assedio, dappertutto rapine reciproche sotto la protezione della legge, e tutto ciò in maniera così spudorata, così aperta che si resta atterriti dinanzi alle conseguenze delle nostre condizioni sociali, che si presentano così senza veli, e soltanto ci si stupisce del fatto che tutta questa pazzesca baraonda riesca in generale a reggersi ancora. Poiché in questa guerra sociale l’arma con cui si combatte è il capitale, il possesso diretto o indiretto dei mezzi di sussistenza e dei mezzi di produzione, è lampante che tutti gli svantaggi di una tale situazione ricadano sul povero. Nessuno si cura di lui; afferrato dal vortice tumultuoso, deve cercare di cavarsela come può. Se è tanto fortunato da ottenere lavoro, cioè se la borghesia gli fa la grazia di volersi arricchire per suo mezzo, lo attende un salario che gli è appena sufficiente a tenere insieme corpo e anima; se non ottiene lavoro, può rubare, ove non tema la polizia, oppure morire di fame, e anche in questo caso la polizia si prenderà cura di far sì che egli muoia di fame in silenzio, senza offendere la borghesia. […]” [F. Engels, ‘Le grandi città’ (estratto da ‘La situazione della classe operaia in Inghilterra’, Edizioni Lotta Comunista, Milano, 2011, pp. 85-140)] [(in) ‘Vibrio. Il viaggio del colera verso l’Europa e il caso inglese di metà Ottocento’, scritti di Giacomo Tommasini, Friedrich Engels, John Snow, La vita felice, Milano, 2016] [(2) Max Stirner, è lo pseudonimo di Johann Caspar Schmidt (Bayreuth, 1806-Berlino 1856), filosofo tedesco, esponente della sinistra hegeliana. Si oppose a qualunque entità reale o astratta (dallo Stato alla religione, dalla morale al diritto) che pretendesse di collocarsi al di sopra dell’individuo, unica vera realtà, sovrano del proprio mondo e creatore dei propri valori. La sua opera più famosa è ‘L’unico e la sua proprietà’]