“Nel medesimo periodo di tempo in cui i post-ricardiani si allontanavano dalla teoria classica del valore, sorgeva la critica socialista. In Francia Sismondi e Proudhon, in Inghilterra Bray, Thompson e Hodgskin, si ponevano, sia pure con accenti diversi, in antitesi con la economia borghese. Essi possono considerarsi i precursori di Marx solo nella misura in cui la loro critica del sistema  capitalista muoveva dalla teoria classica del valore-lavoro, da una interpretazione classista della società e, infine, dalla prima intuizione che i mezzi di produzione avevano assunto la forma di “capitale” da quando erano divenuti oggetto di un particolare rapporto di produzione (Hodgskin) (9). Viceversa Marx si distaccò da essi e li superò non solo per la profondità incomparabilmente superiore della sua analisi, ma anche perché vide nel capitalismo una forma storica di produzione rivoluzionaria e pertanto non condivise il loro giudizio moralistico sulle ingiustizie sociali, né tanto meno coltivò la loro illusione che si potesse abolirle ripristinando rapporti di produzione definitivamente tramontati. In realtà non è il socialismo “romantico” o “utopistico” di quei primi critici del capitalismo che deve considerarsi l’antefatto rispetto all’entrata in scena di Marx, bensì lo sviluppo della economia politica borghese che abbiamo prima delineato (10). Al riguardo è opinione corrente che Marx, ponendo a fondamento della sua analisi del Capitale la teoria del valore-lavoro, abbia soltanto sviluppato il pensiero classico, conducendo l’analisi ricadiana alle sue estreme conseguenze. La sua teoria dello sfruttamento, da questo punto di vista, non sarebbe altro effettivamente che la applicazione più coerente e stringente della dottrina classica – che assume il tempo di lavoro come misura del valore – a quella merce particolare che è la forza-lavoro umana. In realtà questa opinione contiene soltanto una mezza verità, perché la spiegazione del fatto che Marx sia riuscito a portare a compimento la teoria smithiana e ricardiana del valore non può risiedere soltanto in una sua maggiore perspicacia intellettuale. Marx è andato al di là dei classici nell’analisi economica perché si è posto al di là della società borghese nella analisi storica. E’ il ‘metodo’ di Marx che è superiore a quello dei classici perché individua nel sistema capitalistico la trasformazione storica non solo degli istituti e dei rapporti sociali, ma anche quella conseguente delle categorie logiche che devono servire per interpretarli. L’analisi classica aveva assunto il lavoro come origine del valore e aveva intuito che, nello scambio fra lavoro vivo e prodotti del lavoro, peculiare del capitalismo, doveva avvenire qualcosa che faceva sgorgare il sovrappiù di cui si appropriavano i capitalisti. Dunque i classici avevano colto nella compravendita del lavoro, divenuto merce, il fenomeno centrale del sistema capitalista. Essi però, studiando questo fenomeno dal di dentro del sistema, cioè immersi nei suoi rapporti, assumevamo questi ultimi come naturali ed eterni, e non erano perciò in grado di valutare che la stessa categoria del lavoro, in quanto merce, aveva subito una profonda trasformazione. Come si vedrà più avanti, nella prima parte di questo libro, la novità fondamentale della teoria di Marx è la sua analisi del lavoro salariato che ha assunto, nel sistema capitalistico, il duplice carattere di lavoro ‘reale’, in quanto fonte di valori d’uso, e di lavoro ‘sociale’, in quanto fonte di astratti valori di scambio. Questa distinzione essenziale, che era sfuggita ai classici – i quali si riferiscono al lavoro senza tener conto della sua specifica natura di merce nel modo di produzione capitalistico – permetterà a Marx di spiegare in che modo il capitale riesce a ottenere dai salariati un pluslavoro che si tramuta in plusvalore” [Guido Carandini, ‘Lavoro e capitale nella teoria di Marx’, Vicenza, 1977] [(9) Cfr. E. Roll, ‘Storia del pensiero economico’, Torino, 1954, pp. 298 ss.; (10) Le principali opere in cui Marx ha trattato problemi economici sono: ‘I Manoscritti economico-filosofici ‘ (1844), ‘Miseria della filosofia’ (1846), ‘Lavoro salariato e capitale’ (1847), ‘Il manifesto del partito comunista’ (1848), ‘Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica’ (1850-59), ‘Per la critica dell’economia politica’ (1857-59), ‘Salario, prezzo e profitto’ (1865). Il Libro I del Capitale è stato pubblicato da Marx nel 1867; il II e III Libro sono stati pubblicati postumi a cura di Engels rispettivamente nel 1885 e nel 1894. ‘Le ‘Teorie sul plusvalore’ (note in Italia come ‘Storia delle teorie economiche’), la cui redazione risale al 1862-63, sono state pubblicate da K. Kautsky nel 1905]