“Gli scritti di Marx sulla Cina e sull’India, oltre ad affrontare una serie di temi dell’attualità quotidiana del tempo in cui furono concepiti (si trattava in prevalenza di articoli da quotidiano, con tutte le conseguenze che ciò implica), si concentrarono su una duplice problematica: da un lato gli effetti e le ripercussioni che l’espansione dell’influenza britannica in India e in Cina ebbero sul mercato britannico e quindi sulla politica generale di Londra (e soprattutto la serie di problemi posti ai cotonieri), dall’altro le conseguenze locali dell’inclusione della Cina e dell’India nel ciclo di produzione capitalistico, con la conseguente irreparabile frattura di tutte le strutture tradizionali sociali politiche ed economiche di questi paesi. Benché Marx non sia stato il teorico della fase imperialistica del capitalismo (nessun’altra sua opera mette in luce quanto questa (1) l’originalità dell’opera di Lenin nel fondare un’analisi marxista del fenomeno dell’imperialismo nelle sue strutture e nella sua fenomenologia), egli fu comunque pienamente ed esplicitamente consapevole del carattere globale del fenomeno capitalistico, dell’impossibilità di porre un limite territoriale alla espansione della borghesia (o del proletariato), dell’assurdità di concepire l’esistenza o la sussistenza di società non inserite nel ciclo di produzione capitalistico, una volta che sia data l’esistenza e l’espansione di questo e una volta che la borghesia possa fare uso di certi mezzi di comunicazione. In questo senso il giudizio di Marx sui fenomeni che vengono esplicitamente studiati in queste pagine e che caratterizzavano la fase iniziale dell’espansione imperialista (anche se egli non la definisce come tale) non può non essere positivo, alla stessa stregua in cui nel ‘Manifesto’ è positivo il giudizio sul ruolo della borghesia nell’abbattimento dell’ordine feudale in Europa. Una frase, presa a caso tra le molte che nel volume ribadiscono questo concetto, afferma infatti (p. 61): «E’ vero: nel promuovere una rivoluzione sociale nell’Indostan la Gran Bretagna era animata dagli interessi più vili ed il suo modo di imporli fu idiota. Ma non è questo il problema. Il problema è: può l’umanità compiere il suo destino senza una profonda rivoluzione nei rapporti sociali dell’Asia?». Questo principio ed il modo in cui è espresso formano naturalmente parte dell’essenza stessa del materialismo storico: rappresentano infatti la mera estensione ad un ambito mondiale del giudizio della positività e dell’indispensabilità della affermazione della borghesia contro le forze feudali enunciato  nel ‘Manifesto’. Tuttavia, nel contesto di questi scritti, si ripropone in modo più vivo che per gli scritti di Marx sull’Europa, il problema del rapporto fra giudizio morale e concezione della necessità storica (…)” [Enrica Collotti Pischel, ‘Marx e la fase iniziale dell’imperialismo’, (in) ‘Rivista Storica del Socialismo’, Bergamo, n. 11 1960] [(1) K. Marx, F. Engels, ‘India, Cina, Russia’, a cura di Bruno Maffi, Milano, Il Saggiatore, 1960, pp. 360]