“«L’anno scorso abbiamo dimostrato in modo lampante che non sappiamo dirigere l’economia» (1). Ad un anno dalla scelta della Nuova politica economica, il commento di Lenin, nel suo rapporto all’XI Congresso del partito bolscevico, era pessimista senza mezzi termini. La competizione con il capitale privato, intrapresa con la Nep, aveva visto infatti i comunisti perdenti perché incapaci di trasformarsi da rivoluzionari in amministratori, imprenditori, commercianti. Eppure, sottolineava Lenin, questa competizione era un compito assolutamente improrogabile. «Ecco il nocciolo della Nuova politica economica, tutta la sostanza – ne sono convinto – della politica del partito» (2). Dunque il problema che Lenin poneva al congresso come prioritario era quello di imparare a dirigere l’economia, a fare meglio del capitalista. Ma le sue speranze di successo erano scarse. “E qui bisogna formulare chiaramente una domanda: in che cosa consiste la nostra forza e che cosa ci manca? Di potere politico ne abbiamo assolutamente a sufficienza (…). La forza economica che si trova nelle mani dello Stato proletario in Russia è assolutamente sufficiente per garantire il passaggio al comunismo. Che cosa manca allora? E’ chiaro: manca la cultura fra i comunisti che hanno funzioni dirigenti” (3). Inoltre i comunisti “sono una goccia d’acqua nel mare del popolo”, e l’idea di costruire la società comunista con le mani dei comunisti è assolutamente puerile”; quindi “potremo dirigere l’economia soltanto se i comunisti sapranno costruire questa economia con le mani altrui, e nello stesso tempo impareranno dalla borghesia e le faranno seguire il cammino voluto” (4). Queste citazioni sono tratte dal rapporto al congresso del 1922. (…) Le citazioni più sopra riportate mettono in dubbio l’interpretazione, che viene da più parti (7), di una ‘Nep’ leninista,diversa, altra rispetto all’impostazione poi seguita dai successori. La Nep leninista sarebbe insomma stata un audace esperimento per cui gli operai, benché forza politica dominante, dovevano tornare ad essere subalterni al capitale come meccanismo di produzione ma, dall’interno del sistema capitalistico, dovevano sperimentare un suo possibile superamento. Con la Nep, Lenin avrebbe teso in definitiva a creare la prima occasione storica perché il rapporto di produzione capitalistico fosse politicamente rovesciato: non più lavoro politicamente contrapposto al capitale e materialmente subordinato ad esso, ma esattamente il contrario, secondo una dinamica politica nuova, tutta da scoprire. Questa definizione della Nep leninista si appoggia su una serie di citazioni altrettanto puntuali delle precedenti (8). Ma qui non si tratta di scegliere qual è la più corretta. Piuttosto, c’è da puntualizzare il passaggio di Lenin dalle primitive illusioni sull’iniziativa Nep alla dura realtà emergente nel discorso al congresso. Lenin deplorava che i comunisti, essendo incolti, non sapessero dirigere l’economia, sostituirsi ai capitalisti, e fossero costretti, nella fase di apprendistato, ad appoggiarsi agli specialisti borghesi. Un’esortazione più volte ripetuta riguardava perciò l’esigenza di “costruire il comunismo con mani non comuniste, [di] saper fare praticamente ciò che è necessario nel campo economico”. Non vi erano dunque due compiti distinti e qualitativamente diversi per il partito al potere; al contrario, chi esercitava questo potere doveva impegnarsi con tutte le forze ad imparare a gestire ‘anche’ l’economia. L’essenziale non stava più nella politica, aggiungeva Lenin, ma nella scelta di uomini capaci di far funzionare lo Stato e l’economia. Lo scopo immediato era di ottenere credibilità e dopo cinque anni di promesse, irrideva ormai ai decreti bolscevichi. L’isolamento politico era infatti il rischio maggiore: “Nella massa del popolo noi siamo come una goccia nel mare e possiamo esercitare il potere soltanto quando sappiamo esprimere giustamente ciò di cui il popolo ha coscienza. Diversamente il partito comunista non guiderà il proletariato, e il proletariato non guiderà le masse al suo seguito, e tutta la macchina andrà in pezzi” (9). Dopo la morte di Lenin, l’immagine della macchina del potere in pezzi perseguiterà il gruppo dirigente bolscevico, soprattutto quando nel periodo Nep le spinte pluraliste provenienti dagli ambienti dell’economia e della cultura arriveranno a prospettare una gestione del potere diversa da quella leninista” [Rita Di Leo, ‘Il modello di Stalin. Il rapporto tra politica ed economia nel socialismo realizzato’, Milano, 1977] [(1) V.I. Lenin, ‘Opere’, vol. XXXIII, Editori Riuniti, Roma, 1976, p. 248; (2) Ivi, p. 249; (3), Ivi, p. 261; (4) Ivi, p. 264; (5) Una definizione del capitalismo come groviglio di contraddizioni viene ovviamente dall’approccio marxiano: dalla connotazione più celebre – la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, a quelle del Libro I e del Libro III del ‘Capitale’ che spiegano la crisi del sistema capitalistico. Ma ad ispirare è piuttosto la versione socialdemocratico- secondinternazionalista della crisi e del crollo capitalistico, invece di una riflessione aggiornata sui testi classici. Su quanto grande sia la divaricazione tra il Marx delle crisi secondo l’ortodossia , e Marx, vedi M. Tronti, ‘Le due transizioni’, in ‘Sull’autonomia del politico’, Feltrinelli, Milano, 1976; (6) Per il XII e il XIII Congresso, 1923 e 1924, vedi KPSS v. resoljucijach’ (Kommunisticeskaja partia Sovet’skogo Sojuza v resoljucijach i resenijach s’ezdov, Konferencij i plenumov CK), Moskva 1970, vol. II; (7) Vedi ad esempio: R. Di Leo, ‘Operai e sistema sovietico’, Laterza, Bari, 1970; (8) Nelle conclusioni del rapporto politico all’XI Congresso, dopo aver fatto il bilancio sul primo anno d’esperienza Nep, Lenin affermava: “Innanzi tutto a proposito del capitalismo di Stato. ‘Il capitalismo di Stato è capitalismo – ha detto Preobrazenski – ed è soltanto così che lo si può e lo si deve intendere’. Io sostengo che ciò significa essere scolastici. Nessuno finora, nella storia dell’umanità, ha potuto scrivere un libro simile sul capitalismo, poiché è la prima volta adesso che noi viviamo questa cosa. Finora, libri appena un po’ sensati sul capitalismo di Stato sono stati scritti nel presupposto e nell’ipotesi che il capitalismo di Stato fosse capitalismo. Adesso le cose vanno in modo diverso, e nessun Marx e nessun marxista potevano prevederlo. E non si deve guardare indietro. Se voi vi mettete a scrivere di storia, lo farete a meraviglia; ma se vi mettete a scrivere un manuale, direte che il capitalismo di Stato è un capitalismo a tal punto un capitalismo inatteso, un capitalismo che nessuno aveva assolutamente previsto, poiché nessuno poteva prevedere che il proletariato avrebbe conseguito il potere in un paese tra i meno sviluppati e avrebbe cercato dapprima di organizzare una grande produzione e la distribuzione per i contadini, per poi, non essendo venuto a capo di questo compito a causa delle condizioni culturali, far partecipare il capitalismo alla sua opera” ‘Opere’, vol., cit., p. 281; (9) Ivi, p. 276] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:11 Settembre 2017