“Non si spiega la particolare attenzione di Bucharin alle forme dello sviluppo economico e sociale del capitalismo occidentale senza tenere conto che, nella sua formazione culturale, la componente russa – in cui un ruolo importante aveva la ricezione da parte di Bogdanov dell’empiriocriticismo – coesisteva e si intrecciava con una conoscenza diretta dei risultati della ricerca e della teoria sociale prodotti nell’ambito della socialdemocrazia internazionale e del più avanzato pensiero borghese. Il confronto critico con le opere di Max Weber, di Hilferding, oltre che con Rathenau, Keynes, Sombart, con il «Gruenbergs Archiv», ecc. che contraddistingue i passi salienti dei suoi lavori teorici, è il frutto di una profonda consuetudine e risponde a uno sforzo di collocazione della propria elaborazione a quel livello di complessità; la maturazione di Bucharin risentirà, anche dopo la rottura del 1917, degli itinerari percorsi durante l’esilio che lo avevano portato in numerosi paesi occidentali, dalla Scandinavia agli Stati Uniti (1). Che il processo rivoluzionario sovietico non interrompa, ma piuttosto riclassifichi tale patrimonio concettuale è particolarmente evidente nella sua interpretazione di due aspetti decisivi delle trasformazioni capitalistiche dei primi decenni del secolo, cioè della crescente organizzazione economica e politica dei sistemi nazionali e dell’acuta drammatizzazione delle tensioni nei loro rapporti reciproci, connessa ai caratteri assunti dall’internazionalizzazione del capitalismo. A questo riguardo è significativo che il riferimento alla produzione teorica di R. Hilferding svolga un ruolo essenziale nella ricerca di Bucharin sin dall’opera fondamentale del 1910 fino alla relazione sul tema del capitalismo organizzato che l’economista socialdemocratico svolgerà al Congresso di Kiel nel 1927 (2). Ma non si tratta di una ricezione acritica, cui si giustapponga una distinzione politica o ideologica. Prima e autonomamente da Lenin, Bucharin distingue con precisione l’accordo sulla descrizione delle tendenze all’internazionalizzazione del capitale, dalla previsione sulle possibilità di un «ultraimperialismo», inteso come accordo tra monopoli o trust a garanzia di una regolamentazione pacifica delle contraddizioni intercapitalistiche e tra gli Stati nazionali. Questa autonomia viene riconosciuta a Bucharin anche nel momento in cui le sue tesi sul capitalismo organizzato vengono condannate come subalterne alle formazioni hilferdinghiane, almeno nella versione nobile delle accuse, redatta da E. Varga (2). In realtà Bucharin condivide sin dal 1915 – e rinnova nel dopoguerra – la convinzione espressa da Lenin nel famoso saggio sull’imperialismo (4) che la tendenza a un esito militare della lotta per il predominio economico e politico tra i gruppi capitalistici nazionali costituiva una componente sostanziale della nuova fase del capitalismo e non era dunque riducibile a una politica suscettibile di radicali correzioni, come ipotizzava già allora Kautsky e successivamente Hilferding (5). Riconoscere l’organicità delle tendenze alla guerra, non significa considerare questa come ineluttabile, né come implicazione immediata delle contraddizioni economiche intercapitalistiche: un trust capitalistico mondiale viene escluso perché possibile solo in presenza di un improbabile equilibrio tra i capitalismi nazionali contraenti o dell’assoluta prevalenza di una potenza sulle altre; ma anche questa ipotesi darebbe luogo a scontri violentissimi che aggraverebbero le contraddizioni del capitalismo mondiale (6). Dunque le tendenze alla guerra – scrive Bucharin nell”Economia del periodo di trasformazione’ – possono dare luogo a una «riproduzione negativa allargata», cioè a una distruzione di forze produttive, ma anche costituire il prezzo necessario «dal punto di vista del movimento generale del sistema capitalistico» per raggiungere «un più alto e perciò possente sviluppo di queste forze» (7). Attraverso l’analisi concreta della specificità dei processi di crisi, è possibile distinguere tra crisi e crollo del capitalismo, tra crisi bellica e postbellica e crisi finale del capitalismo. Diversamente da Lenin inoltre Bucharin ritiene (e a lungo approfondirà tale convinzione) che l’osmosi tra politica ed economia da cui è caratterizzato il moderno capitalismo possa conseguire una regolamentazione delle più gravi contraddizioni interne, fino a conseguire una notevole stabilità all’interno dei limiti nazionali; di qui il crescente ruolo economico dello Stato, non riducibile alla tendenza alla putrefazione e alle analisi che ne evidenziano soltanto gli aspetti parassitari. Nel 1920 Bucharin rivendica l’originalità della sua concettualizzazione di tale processo d’integrazione fra apparato statale ed economia, e il riferimento ad esso resterà costante nel corso del decennio successivo, particolarmente nella fase di direzione dell’Internazionale comunista. Nello scritto del 1915 egli afferma che «l’economia nazionale si trasforma in un gigantesco trust combinato, azionisti del quale sono i gruppi finanziari e lo Stato. Noi chiamiamo formazioni di questo genere trust capitalistici di Stato» (8). Attraverso questo nuovo strumento concettuale Bucharin interpreta tutta la variegata fenomenologia che Hilferding descrive nel ‘Capitale finanziario’, e cioè i processi di razionalizzazione e di organizzazione dei capitalismi nazionali, la separazione crescente di proprietà e imprenditorialità, l’espansione del ruolo del capitale bancario e la centralità del potere finanziario, anche rispetto ai momenti di massima concentrazione monopolistica industriale, che invece Lenin insiste nel collocare al primo posto nella gerarchia della nuova fase imperialistica (9). Bucharin concorda con Hilferding nella tesi che questo tipo di regolamentazione del capitalismo non può essere racchiuso nella semplice attribuzione da parte di Marx al sistema creditizio e alle società per azioni di una funzione di «controtendenza» alla caduta tendenziale del saggio di profitto (10); entrambi gli attribuiscono un significato non congiunturale, benché ragioni specifiche, come ad esempio i problemi di pianificazione economica legati alla conduzione della guerra mondiale, l’abbiano straordinariamente accelerato. Bucharin si differenzia sia dall’analisi di Hilferding, sia da Lenin nell’insistere sulle trasformazioni della struttura interna dello Stato, senza limitarsi alla sua ridefinizione come capitalista collettivo o ridurlo a strumento dell’aggressività internazionale del capitalismo imperialistico. In diversi passi degli scritti del 1915 e del 1920, egli si sofferma su tale integrazione di capitale finanziario, imprese pubbliche e Stato; (…)” [Mario Telò, ‘Bucharin: economia e politica nella costruzione del socialismo’ ‘Dal capitalismo di guerra al capitalismo organizzato’] [(in) ‘Storia del marxismo’, Volume terzo, ‘Il marxismo nell’età della Terza Internazionale. I. Dalla rivoluzione d’Ottobre alla crisi del ’29’; ‘Storia del Marxismo’, Einaudi, 1980] [“(1) Anche nel corso della difficile discussione sul programma dell’Internazionale, Bucharin difenderà la continuità con la migliore tradizione della II Internazionale prebellica (cfr. ‘Das Programm’, cit, p. 1686) (…); (2) R. Hilferding, 0il capitale finanziario (1910), trad. it. Milano 1961, con introduzione di G. Pietranera; ‘Die Aufgaben der Rozialdemokratie in der Republik’, in ‘Protokolkl der Verhandlungen des sozialdemokratischen Parteitages 1927 in Kiel’, Berlin, 1927; (3) E. Varga, ‘Problemi della formazione di monopolio e la teoria del “capitalismo organizzato”, in Id., ‘La crisi del capitalismo e le sue conseguenze economiche’, con introduzione di E. Altvater, Milano , 1971, pp. 80-83; (4) V. Lenin, ‘L’imperialismo (…)’ (1916), in Id., Opere, vol 22; (5) Sulla posizione di Kautsky, esplicitata già nel 1914, con il saggio ‘Der Imperialismus’, cfr. M.L. Salvadori, ‘Kautsky tra ortodossia e revisionismo’, in ‘Storia del marxismo’, Einaudi, vol. II, pp. 309-310; (6) Bucharin, ‘L’economia
mondiale’, cit., pp. 286-88; (7) Id., ‘L’economia del periodo di trasformazione’, cit, pp. 46-47; (8) Id., ‘L’economia mondiale’, cit., p. 253; a p. 14, nota 7 dell’opera del 1920, Bucharin tiene a precisare che «questo concetto è stato introdotto dall’autore di quest’opera» e fa riferimento al  libro del 1915; (9) Anche se Bucharin insiste sia nel 1915, sia nella discussione sul programma sui caratteri di «osmosi» del rapporto tra capitale industria e bancario e non sulla supremazia degli istituti di finanziamento, come fa invece Hilferding, è indubbio che egli non si impegna in una critica analoga a quella di Lenin della famosa definizione hilferdinghiana di capitale finanziario esposta a pp. 293-295 dell’opera del 1910; la posizione di Bucharin è esposta in ‘L’economia mondiale’, cit., pp. 176-182, e quella di Lenin nel capitolo ‘Capitale finanziario e oligarchia finanziaria del «saggio popolare» su ‘L’imperialismo’, cit.; (10) Le osservazioni di Marx corrispondono a un livello diverso di sviluppo del sistema creditizio e del suo ruolo nelle crisi; cfr. K. Marx, ‘Il capitale’, Torino, 1978, libro terzo, cap. XIV: ‘Cause antagonistiche’, pp. 328 sgg.; sullo sviluppo della società per azioni, ibid., cap. XXVII: ‘La funzione del credito nella società capitalistica’, pp. 605 sgg; che alla riflessione sui caratteri della nuova fase si aggiunga in Hilferding un’autonomizzazione dei processi circolatori, con determinanti conseguenze tra teoria del valore e teoria della crisi, nel senso di una revisione di Marx, è chiarito dall’importante introduzione di G. Pietranera al ‘Capitale finanziario’ cit.; cfr. sullo stesso tema il contribuo di E. Altvater, in questo volume (pp. 829 sgg.)”]
[Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]