“Le conseguenze politiche e psicologiche della manipolazione figurano nel pensiero di Mills come un aspetto del generale processo di burocratizzazione, a cui si collega il fenomeno della concentrazione e dell’esercizio non controllato del potere in tutti gli ordini della società, sull’esempio di quanto avviene nelle imprese economiche. Questo tipo di spiegazione richiama alla mente [Max] Weber e il suo noto passo sulla separazione del lavoratore dai mezzi materiali d’impresa, concentrati nelle mani dei detentori del potere in virtù di quell’apparato burocratico «la cui esistenza e funzione è inseparabilmente congiunta, in un rapporto di causa ed effetto, con quella concentrazione di mezzi materiali dell’impresa, tanto da costituirne la forma stessa» (26). Come ha osservato lo stesso Mills nella sua introduzione a Weber, scritta insieme a Gerth (27), questo passo non è che una generalizzazione dell’osservazione di Marx sulla separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione, che viene così inserita nell’ambito dei casi comprovanti la tendenza di fondo alla burocratizzazione. Anche la condizione oggettiva di alienazione, e le conseguenze sul piano psicologico soggettivo, che Marx collegava a quel fatto, diventano in Weber una conseguenza del processo di razionalizzazione burocratica. E’ questa anche la prospettiva generale di Mills. Tuttavia egli parte da una più diretta ed esplicita accettazione dell’analisi marxiana dell’alienazione. «L’alienazione oggettiva dell’uomo dal prodotto e dal processo produttivo è una conseguenza naturale della struttura legale del capitalismo moderno e dalla moderna divisione del lavoro. Chi lavora non è padrone del prodotto né degli strumenti della sua attività produttiva. Con il contratto di lavoro vende il suo tempo, la sua energia e le sue capacità alla potestà altrui»; «il prodotto, obiettivo ultimo della sua fatica, è giuridicamente e psicologicamente distaccato da lui» (28). Queste espressioni di Mills ricalcano piuttosto fedelmente lo scritto del giovane Marx sul lavoro estraniato (29). E’ vero che egli ritiene di non poter condividere, in quanto «metafisica», la convinzione marxiana che l’«essenza» o la «natura» umana sia da vedersi nel processo produttivo e si esprima nel lavoro (30). Tuttavia anch’egli riferisce la discussione dell’alienazione ad un modello idealizzato di lavoro, cioè l’attività artigiana nel senso rinascimentale (craftsmanship), che ha presupposti analoghi. Così Mills caratterizza quel modello: «Nel lavoro non c’è nessun altro motivo che trascenda il prodotto da fabbricare e i processi della sua creazione. I dettagli del lavoro quotidiano hanno un loro significato perché non sono separati, nel pensiero di chi lavora, dal prodotto finale dell’operazione. Chi lavora può liberamente controllare la propria attività lavorativa. L’artigiano è dunque in grado di imparare dal proprio lavoro e di usare e sviluppare, nel corso della sua esecuzione, le proprie capacità e la propria esperienza. Non c’è frattura tra lavoro e svago, né tra lavoro e cultura. Il modo in cui l’artigiano si guadagna la giornata determina e permea tutto il suo modo di vivere» (31). E’ chiaro che questo ideale implica una certa visione del lavoro come dotato di significato intrinseco, come espressione significativa dell’uomo; diversamente non si vedrebbe la necessità di «un intimo rapporto tra produttore e prodotto» (32). Viceversa, e sia per gli operai che per i colletti bianchi, si ha nelle moderne società burocratizzate un distacco dal processo e dal prodotto del lavoro. Una delle gravi conseguenze è che ciò elimina ogni significato che il lavoro potrebbe assumere grazie ai suoi processi tecnici, e che «la possibilità di sviluppare e usare le proprie capacità intellettuali è distrutta dall’accentramento del potere e dalla razionalità formale che è propria della burocrazia» (33), allargando così la frattura fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Partendo da questa duplice radicazione nei rapporti produttivi e nella struttura burocratica, Mills riesce ad esaminare le diverse manifestazioni, soprattutto politiche e psicologiche, dell’alienazione, tenendo presenti sia Marx che Weber. Così il tempo libero è considerato come alienante proprio in quanto distaccato e contrapposto al tempo di lavoro, tanto che rispetto ad esso il lavoro è «un vuoto strumento per fini che gli sono estranei, che sono situati altrove» (34), e quindi ulteriormente estraniato dall’uomo; l’estraniazione da se stesso e dagli altri è rafforzata dal «mercato della personalità» che domina la maggior parte dei colletti bianchi, e in genere degli uomini delle metropoli; ed anche l’apatia politica, il distacco dell’individuo dall’istanza e dall’azione politica va inserita nel problema più ampio dell’alienazione dell’individuo da se stesso e dalla società” [Giorgio Marsiglia, ‘L’immaginazione sociologica di C. Wright Mills’, 1970] [(26) Max Weber, ‘Economia e società’, cit., vol. II, pp. 698-699; (27) Hans H. Gerth e C. Wright Mills, ‘Introduction: The Man and His Work’, in ‘From Max Weber’, cit., p. 50; (28) ‘Colletti bianchi’; cit., p. 300; (29) Karl Marx, ‘Manoscritti economico-filosofici del 1844′, trad. it., Torino, Einaudi, 1968, p. 69-86. E’ noto che negli scritti successivi, fino al ‘Capitale’, Marx cercò di evitare il termine «alienazione», ma continuò ad usare il concetto che esso esprime; (30) Si veda su questo aspetto del pensiero marxiano l’interessante discussione di Adam Schaff, ‘Il marxismo e la persona umana’, trad. it., Milano, Feltrinelli, 1966, cap. I; (31) ‘Colletti bianchi’, cit., p. 294; (32) Ibid., p. 295; (33) Ibid., p. 301; (34) Ibid., p. 315]