“Si può applicare al concetto di rivoluzione passiva (e si può documentare nel Risorgimento italiano) il criterio interpretativo delle codificazioni molecolari che in realtà modificano progressivamente la composizione precedente delle forze e quindi diventano matrice di nuove modificazioni. Così, nel Risorgimento italiano, si è visto come il passaggio al cavourrismo (dopo il 1848) di sempre nuovi elementi del Partito d’azione ha modificato progressivamente la composizione delle forze moderate, liquidando il neoguelfismo, da una parte, e, dall’altra, impoverendo il movimento mazziniano (a questo processo appartengono anche le oscillazioni di Garibaldi, ecc.). Questo elemento pertanto è la fase originaria di quel «trasformismo» (1) e la cui importanza non è stata, pare, finora, messa nella luce dovuta come forme di sviluppo storico. Insistere nello svolgimento del concetto che, mentre Cavour era consapevole del suo compito in quanto era consapevole criticamente del compito di Mazzini, Mazzini, per la scarsa o nulla consapevolezza del compito di Cavour, era in realtà anche poco consapevole del suo proprio compito: perciò i suoi tentennamenti (così a Milano nel periodo successivo alle Cinque giornate e in altre occasioni) e le sue iniziative fuori tempo, che pertanto diventavano elementi solo utili alla politica piemontese. E’ questa una esemplificazione del problema teorico del come doveva essere compresa la dialettica, impostato nella ‘Miseria della filosofia’: che ogni membro dell’opposizione dialettica debba cercare di essere tutto se stesso e gettare nella lotta tutte le proprie «risorse» politiche e morali, e che solo così si abbia un superamento reale, non era capito né da Proudhon né da Mazzini. Si dirà che non era capito neanche da Gioberti e dai teorici della rivoluzione passiva o «rivoluzione-restaurazione», ma la questione cambia: in costoro la «incomprensione» teorica era l’espressione pratica delle necessità della «tesi» di sviluppare tutta se stessa, fino al punto di riuscire a incorporare una parte dell’antitesi stessa, per non lasciarsi «superare», cioè, nell’opposizione dialettica, solo la tesi in realtà sviluppava tutte le possibilità di lotta, fino ad accaparrarsi i sedicenti rappresentanti dell’antitesi: proprio in questo consiste la rivoluzione passiva o rivoluzione-restaurazione. (…)” [Antonio Gramsci, ‘Sul risorgimento’, Roma, 1980, introduzione e cura di Giorgio Candeloro] [(1) Nel 1876 i moderati, la Destra storica, cedettero il potere alla cosiddetta Sinistra, costituita da liberali di tutte le sfumature, a base essenzialmente piccolo-borghese. In realtà questo cambiamento non significò il passaggio della direzione dello Stato da un gruppo sociale ad un altro, ma soltanto uno spostamento all’interno delle forze moderate e dei gruppi economici da esse rappresentati. Ebbe così inizio quel periodo di accordi e compromessi tra gruppi di Sinistra e della Destra e di capovolgimenti della posizione dei deputati che fu definito «trasformismo». In altra parte dei ‘Quaderni’ (‘Risorgimento’, ed. cit., p. 157) G. distingue nel trasformismo due periodi: «1) dal ’60 al 900 trasformismo “molecolare”, cioè le singole personalità politiche elaborate dai partiti democratici d’opposizione si incorporano singolarmente nella “classe politica” conservatrice moderata (caratterizzata dall’avversione a ogni intervento delle masse popolari nella vita statale, a ogni riforma organica che costituisce un'”egemonia” al crudo “dominio” dittatoriale); 2) dal ‘900 in poi trasformismo di interi gruppi di estrema che passano al campo moderato (il primo avvenimento è la formazione del partito nazionalista, coi gruppi ex sindacalisti e anarchici, che culmina nella guerra libica in un primo tempo e nell’interventismo in un secondo tempo). Tra i due periodi è da porre il periodo intermedio – 1890-‘900 – in cui una massa di intellettuali passa nei partiti di sinistra, così detti socialisti, ma in realtà puramente democratici»]
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- Articolo pubblicato:17 Agosto 2017