“Parassitismo e putrefazione del capitalismo. (…) L’imperialismo è l’immensa accumulazione in pochi paesi di capitale liquido, che, come vedemmo, raggiunge da 100 a 150 miliardi di franchi di titoli. Da ciò segue, inevitabilmente, l’aumentare della classe o meglio del ceto dei ‘rentiers’, cioè di persone che vivono del «taglio delle cedole», non partecipano ad alcuna impresa ed hanno per professione l’ozio. L’esportazione di capitale, uno degli essenziali fondamenti economici dell’imperialismo, intensifica questo completo distacco del ceto dei ‘rentiers’ dalla produzione e dà un’impronta di parassitismo a tutto il paese, che vive dello sfruttamento del lavoro di pochi paesi e colonie d’oltre oceano. «Nel 1893 – scrive Hobson – il capitale britannico collocato all’estero costituiva circa il 15% della ricchezza totale del Regno Unito» (1) (Nel 1915 questo capitale era aumentato di circa due volte e mezzo…) «L’imperialismo aggressivo – leggiamo poco appresso nel libro di Hobson – che costa così caro ai contribuenti ed ha sì scarso valore per l’industriale e il commerciante… è fonte di grandi profitti per il capitalista che cerca investimenti al proprio capitale…[in inglese ciò si esprime con la parola «’investor’» ‘rentier’]. «Secondo la statistica di Giffen, il reddito totale annuo che la Gran Bretagna ricava dal suo commercio estero e coloniale, dalla sua importazione ed esportazione, ammontava per il 1899 a 18 milioni di sterline [circa 450 milioni di lire oro], se si calcola un reddito del 2,5% su un movimento totale di 800 milioni di sterline». Per quanto tale cifra sia considerevole, tuttavia essa non può spiegare l’imperialismo aggressivo della Gran Bretagna. Questo trova la sua spiegazione ben più nei 90-100 milioni di sterline che rappresentano il reddito del capitale «investito» all’estero, il profitto dei ‘rentiers’. Nel paese più «commerciale» del mondo i profitti dei ‘rentiers’ superano di ‘cinque volte’ quelli del commercio estero! In ciò sta l’essenza dell’imperialismo e del parassitismo imperialista. Per tale motivo nella letteratura economica sull’imperialismo è di uso ‘corrente’ il concetto di «Stato ‘rentier’» (Rentnerstaat) o Stato usuraio. Il mondo si divide in un piccolo gruppo di Stati usurai e in una immensa massa di Stati debitori. «Tra gli investimenti di capitali all’estero – scrive Schulze-Gaevernitz- primeggiano quelli fatti in paesi politicamente dipendenti o strettamente alleati: l’Inghilterra impresta all’Egitto, al Giappone, alla Cina, all’America del Sud. E in caso di bisogno la sua flotta da guerra funziona da ufficiale giudiziario. La forza politica dell’Inghilterra la preserva contro la eventualità di una sommossa dei debitori (2)». Sartorius von Waltershausen nel suo libro su ‘Il sistema economico del collocamento di capitali all’estero’ considera l’Olanda come tipo di «Stato ‘rentier’», e accenna che anche la Francia e l’Inghilterra sono sul punto di diventar tali (3). Schilder ritiene che i cinque Stati industriali, Inghilterra, Francia, Germania, Belgio e Svizzera, siano «nettamente paesi creditori». Ma non mette tra essi l’Olanda perché «poco industriale» (4). Gli Stati Uniti sono un paese creditore solo nei rapporti con altri paesi americani. «L’Inghilterra – scrive Schulze-Gaevernitz – a poco a poco da Stato industriale si trasforma in Stato creditore. Se la grandezza assoluta della produzione industriale e dell’esportazione di prodotti industriali è aumentata, tuttavia l’importanza relativa del guadagno in interessi e dividendi, emissioni, commissioni… e speculazioni, è di gran lunga cresciuta nell’economia nazionale complessiva. Secondo me, proprio questo fatto costituisce la vera base economica dello slancio imperialistico. Il creditore è più saldamente legato al debitore, che non il venditore al compratore» (5). Lansburgh, direttore della rivista berlinese ‘Die Bank’, così scriveva nel 1911 intorno alla Germania in un articolo intitolato ‘La Germania, Stato rentier’: «Volentieri in Germania ci si beffa della smania dei francesi di trasformarsi in ‘rentiers’, ma si dimentica che, per quanto concerne la classe media, le condizioni tedesche diventano sempre più simili alle francesi» (6). Lo Stato ‘rentier’ è lo Stato del capitalismo parassitario in putrefazione. Questo fatto necessariamente influisce su tutti i rapporti politico-sociali dei relativi paesi, e quindi anche sulle due correnti principali del movimento operaio in generale. Per dimostrare ciò nella maniera più evidente, lasciamo la parola a Hobson, il quale è il più «sicuro» come testimone, poiché non gli si può rimproverare alcuna predilezione per l’«ortodossia marxista»; inoltre egli è inglese e conoscitore delle cose del suo paese, che è il più ricco così di colonie come di capitale finanziario e di esperienza imperialistica. Sotto l’impressione ancor fresca della guerra contro i boeri, Hobson descrive la connessione dell’imperialismo con gli interessi degli uomini della finanza, dell’aumento dei profitti con gli appalti e le forniture, ecc., e a tale proposito scrive: «Coloro che fissano la direzione a questa esplicita politica parassitaria sono i capitalisti: ma gli stessi moventi esercitano la loro efficacia anche su determinate categorie di operai. In molte città i più importanti rami d’industria dipendono dalle commissioni governative, e questa è una delle non ultime ragioni dell’imperialismo dei centri delle industrie metallurgica e navale». Secondo Hobson, due categorie di circostanze indebolivano la potenza degli imperi antichi: 1) il «parassitismo economico»; 2) la composizione degli eserciti con elementi tratti dalle popolazioni soggette.” [V.I. Lenin, a cura di Umberto Cerroni, ‘Scritti economici’, Roma, 1977] [note: (1) Hobson, op. cit., p. 59; (2) Schulze-Gaevernitz, ‘Britischer Imperialismus’, pp. 320 e sgg.; (3) Sartorius von Waltershausen, op. cit., libro IV; (4) Schilder , op. cit., p. 393; (5) Schulze-Gaevernitz, op.cit., p. 122; (6) ‘Die Bank’, 1911, I, p. 10-11] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]