“L’esilio, il contatto con la cultura cosmopolita francese, l’adesione alla visione dello stato organico basato sulle più ampie autonomie sociali federate (i cui prodromi si trovavano già in ‘Socialismo liberale’), avevano come logica conclusione le prese di posizione contenute ad esempio nell’articolo ‘Contro lo Stato’ (31). In questo editoriale Rosselli criticava aspramente lo stato moderno assoluto, autoritario e dittatoriale. La nascita della dittatura era la «logica conclusione» dello statalismo. Un dominio che si veniva a palesare nell’oppressione dell’uomo, dei valori della coesistenza sociale, nell’assunzione dello stato a fine supremo e degli uomini a mezzi. Tentando una panoramica storica, Rosselli affermava che prima del ‘700 non esisteva lo stato ma «una serie innumerevole di associazioni, tanto più ricche di contenuto quanto più libere e limitate d’estensione. In luogo dello stato dispotico accentratore, un ‘federalismo sociale’» (32). Di fronte all’evoluzione successiva, che aveva portato alla nascita dello stato democratico e quindi allo stato accentratore («col monopolio del sangue e del pane»), attraverso i gradi della democrazia giacobina e del capitalismo industriale, Gl si vuole rifare apertamente alla tradizione di Proudhon, Bakunin e Marx; un’operazione, quella di Rosselli, che non nasconde aspetti abbastanza sconcertanti, come ad esempio la critica del giacobinismo da parte di una forza che lo era in maniera abbastanza palese. Ma Rosselli non se ne cura e cita, per giustificare il suo richiamo a Marx quale «antistatalista», la ‘Critica al programma di Gotha’ del 1875. In essa, dice Rosselli, Marx rivendicava la superiorità della società sullo stato, postulando la necessità della sottomissione di quest’ultimo; Marx quindi non era statolatra, «la rivoluzione era per Marx, come per tutti i rivoluzionari del secolo scorso, sinonimo di emancipazione della persona umana e di ‘federalismo integrale’» (33). Anche ammettendo corretta l’interpretazione di Rosselli (dubbi vi sarebbero semmai per quanto riguarda il «’federalismo integrale’» di Marx) sembra che egli dimentichi, o voglia dimenticare, che Marx ed Engels furono anche accesi sostenitori dei processi di unificazione nazionale quali elementi per la necessaria «razionalizzazione» del continente e basi per un’efficace lotta di classe (34). Ma questo doveva essere logicamente un particolare quasi insignificante per Rosselli; la rivoluzione che egli prevedeva per l’Italia era tutta centrata sulla costruzione di un nuovo tipo di società, proprio per togliere allo stato il valore che gli era stato dato nel corso dei secoli. Si ritrova il concetto di «stato organico» ma più radicalizzato; stavolta l’apparato statale non viene neppure nominato: la rivoluzione italiana avrebbe dovuto dar origine ad una «società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili» per non ridiventare statolatria. E Gl voleva essere il modello di questa nuova società. Il ragionamento di Rosselli è basato essenzialmente sull’importanza che egli dava all’umanesimo (inteso nell’accezione francese di ‘humanisme’, che ha tutt’altro significato dall’italiano) (35)” [Piero Graglia, ‘Il dibattito europeista e federalista in ‘Giustizia e Libertà’: seconda fase (1934-1937)’, (in) ‘Storia contemporanea’, n. 2, aprile 1996] [(31) Gl (C. Rosselli), ‘Contro lo Stato’, editoriale, in ‘GeL’, a. I, 19, 21 settembre 1934; (32) Ibidem; (33) Ibidem; (34) Ciò viene messo in luce, tra gli altri, da Dino Cofrancesco nella introduzione al suo ‘Europeismo e cultura. Da Cattaneo a Calogero’, Genova, 1981, alle pp. 8-9. Chiaramente l’unità nazionale era originata dallo sviluppo dei processi produttivi e dalle forze sociali, dalle esigenze delle classi borghesi. Rosselli ha ragione quando afferma che Marx ed Engels credevano nel primato della società civile su quella politica; forza però il suo discorso asserendo che essi non difendevano le ragioni dello stato nazionale. Mi sembra che affermare il bisogno dell’esistenza dello stato nazionale per le necessità della borghesia, prima, e della lotta di classe, poi, ne costituisca in realtà la più salda base ideologica; (35) Si potrebbe parlare di ‘humanisme’ come di «senso dell’uomo»]