“Marx ha usato raramente il sostantivo “capitalismo” e solo in modo marginale. Tuttavia ha scritto in maniera così ampia e approfondita sul modello di produzione capitalistico da aver segnato con la sua concezione del capitalismo le generazioni successive ben più di chiunque altro. Gli aspetti principali del concetto di capitalismo in Marx si lasciano riassumere in quattro punti. 1. Marx considerò il ‘mercato’, che presupponeva la divisione del lavoro e l’economia monetaria, come elemento centrale del capitalismo. Pose l’accento sulla concorrenza senza scrupoli e senza confini, capace di promuovere il progresso tecnologico e organizzativo, ma, allo stesso tempo, di portare i soggetti del mercato su posizioni contrapposte. Fece emergere il ‘carattere costrittivo’ delle “leggi” di mercato, a cui devono attenersi capitalisti e operai, produttori e consumatori, fornitori e acquirenti, pena il loro fallimento, quali che siano le loro motivazioni individuali. 2. Quale elemento distintivo del capitalismo, Marx trattò ampiamente l”accumulazione’ sostanzialmente illimitata, ossia la formazione del capitale e il suo persistente aumento come tendenzialmente fini a sé stessi, all’inizio come «accumulazione originaria» basata su trasferimenti da altri settori (non senza espropriazione e violenza), e poi come reinvestimento di profitti, che in ultima analisi derivavano però dal valore creato dal lavoro: il capitale dunque come lavoro coagulato. 3. Marx considerava come elemento centrale del modello di produzione capitalistica il rapporto di tensione fra i capitalisti in qualità di proprietari dei mezzi di produzione – insieme agli imprenditori e ai dirigenti da loro dipendenti – da un lato, e dall’altro i lavoratori, privi della proprietà dei mezzi di produzione, impiegati in cambio di un compenso o un salario, vincolati contrattualmente ma a parte questo liberi. Le due parti erano legate per un verso da una relazione di scambio reciproco (forza lavoro o prestazione di lavoro in cambio di compenso o salario, il lavoro o meglio la forza lavoro come merce), per l’altro da un rapporto di potere e dipendenza, che rendeva possibile lo «sfruttamento» dei lavoratori ad opera dei capitalisti: sfruttamento nel senso che una parte del valore prodotto dagli operai con il lavoro, il cosiddetto “plusvalore”, non veniva loro resa disponibile o retribuita. Questa parte diventava proprietà del capitalista/imprenditore, che se ne serviva da un lato per promuovere l’accumulazione, dall’altro per sostenere il proprio consumo. Per Marx il così concepito rapporto ‘capitale-lavoro salariato’ non solo era il motore del dinamismo del sistema, ma nel contempo provocava anche lotte di classe, che avrebbero condotto sul lungo periodo ‘borghesia e proletariato’ su posizioni insanabilmente contrapposte. Questo era per Marx il presupposto della rivoluzione che, portata avanti dal proletariato, avrebbe abbattuto il sistema capitalistico a vantaggio di un’alternativa, appunto socialista o comunista, nella cui più specifica descrizione Marx tuttavia non si addentrò. Con questa previsione, che poteva essere letta anche come appello al proletariato a prendere coscienza della propria missione storica, egli trasformò la sua concezione teorica in un’indicazione operativa di pratica politica, e come tale fu del resto recepita da molti a partire dal tardo XIX secolo. 4. Marx descrisse lo straordinario ‘dinamismo del sistema capitalistico’ che, sostenuto dalla borghesia, avrebbe dissolto ogni eredità del passato estendendosi in tutto il mondo e avrebbe posseduto non solo l’impeto, ma anche la capacità di estendere la sua logica in ambiti diversi da quello economico. Egli era convinto che il metodo di produzione capitalistico avesse la tendenza a caratterizzare in modo decisivo la società, la cultura e la politica. Quella che l’economista Adam Smith aveva descritto ancora come ‘commercial society’ e Georg Wilhelm Friedrich Hegel come ‘bürgerliche Gesellschaft’ Marx chiamò «formazione sociale capitalistica». Questa immagine del capitalismo era influenzata in modo determinante dalla realtà dinamica che Marx ed Engels poterono osservare nel secondo terzo del XIX secolo in Germania e soprattutto in Europa occidentale. I due videro nella Rivoluzione industriale uno sconvolgimento epocale e riconobbero la carica esplosiva della persistente questione operaia. Concettualizzarono il capitalismo così come si era venuto a manifestare in tutta la sua pienezza solo a partire dalla sua forma di ‘capitalismo industriale’, con al centro la «grande industria» e il lavoro salariato di massa. Marx non negò l’esistenza di altre varianti di capitalismo precedenti l’industrializzazione, tuttavia non le analizzò: era interessato al capitalismo nella sua caratteristica moderna di economia industriale e alla sua formazione (a partire dal XVI secolo in Inghilterra). Esistono schiere di critici della concezione marxiana. A questa si è rimproverato, a ragione, di avere sottovalutato il ruolo civilizzatore dei mercati e di avere, al contrario, sopravvalutato il lavoro come unica fonte di valori fondanti. Di Marx sono state criticate la scarsa considerazione per il significato della conoscenza e dell’organizzazione come fonti di produttività, le previsioni sbagliate sulle conseguenze sociali del capitalismo industriale e la sfiducia, che appare in verità tipica della vecchia Europa, nei confronti del mercato, della compravendita e dell’interesse personale. Ciò nonostante, l’analisi marxiana rimane un progetto originale, affascinante e fondamentale, a cui fino a oggi si è richiamata, sia pure in senso critico, la gran parte dei successivi interpreti del capitalismo” [Jürgen Kocka, ‘Capitalismo. Una breve storia’, Roma, 2016]