“Le diverse forme di crisi sono connesse tra loro. Si possono però distinguere le ‘crisi da sproporzione’, che in generale si danno quando non siano soddisfatte le condizioni della riproduzione, le ‘crisi da tesaurizzazione’ e le ‘crisi da realizzazione’. All’origine delle crisi sta comunque il fatto che la forza motrice della produzione capitalistica è costituita dal saggio dei profitti: viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto, e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto. In un mondo alla Ricardo una diminuzione del saggio dei profitti non avrebbe determinato nessuna crisi. Semplicemente, quando non vi fossero più stati profitti investibili il processo di accumulazione si sarebbe esaurito e il sistema economico sarebbe entrato nello stato stazionario. In ogni caso era implicito nella legge di Say che tutti i redditi sarebbero stati spesi, in consumi se non in investimenti. Secondo Marx c’è una terza possibilità. In una economia capitalistica il denaro non è soltanto un mezzo di pagamento, ma può anche essere tesaurizzato. Dopo aver venduto le sue merci in cambio di denaro, il capitalista, quando giudichi troppo basso il saggio dei profitti, può decidere di tenere il ricavato in forma di tesoro, anziché rimetterlo in circolazione e trasformarlo in nuovo capitale. Se i capitalisti non spendono l’intero plusvalore precedentemente realizzato né nell’acquisto di mezzi di produzione né nell’acquisto di mezzi di consumo, le condizioni della riproduzione non vengono soddisfatte. In questo caso il denaro esce dal ciclo del capitale industriale da cui è scaturito, e potrà essere trattenuto in forma liquida oppure potrà essere impiegato in attività finanziarie o speculative. Il denaro non opera più come capitale, e diventa un peso morto della produzione capitalistica. Si può dunque pensare che esista un saggio ‘minimo’ del profitto, al di sotto del quale si avrà una crisi da tesaurizzazione, che interrompe e devia il processo di produzione e riproduzione. L’altra forma di crisi, la crisi di realizzazione, ha origine dal fatto che il salario non è soltanto un costo di produzione per il capitalista, ma è anche il potere d’acquisto con il quale i lavoratori acquisteranno le merci da essi stessi prodotte. La situazione ideale, per ciascun singolo capitalista, sarebbe quella in cui egli potesse pagare ai propri lavoratori il salario più basso possibile, mentre tutti gli altri lavoratori ricevessero i più alti salari possibili. Ciò è però impossibile, poiché il saggio di salario (così come il saggio dei profitti e il saggio di plusvalore, che corrisponde al rapporto tra profitti e salari) tende a essere uniforme. Esisterà dunque un saggio ‘massimo’ del profitto, cioè il massimo saggio dei profitti realizzabile con una data distribuzione del reddito tra profitti e salari. Il plusvalore si trasforma in profitto soltanto se le merci in cui è incorporato vengono vendute, e gli acquirenti potenziali delle merci prodotte sono in massima parte i lavoratori stessi: a condizione che dispongano del denaro necessario. (L’economia capitalistica è concretamente irrazionale, secondo M. Weber, perché non soddisfa i bisogni in quanto tali, bensì solo i bisogni dotati di capacità d’acquisto)” [Giorgio Lunghini, ‘Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative’, Torino, 2012]