“Engels specifica il ruolo della soggettività umana nella storia nel suo ‘Ludovico Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca’ (1886), in cui esprime in due passi lo stesso concetto ma declinandolo diversamente quasi contraddicendosi, anche se in realtà il secondo brano prende in considerazione un fattore trascurato nel primo. Dapprima scrive che l’evoluzione della natura si differenzia dalla storia della società, poiché nulla di ciò che accade in essa è prodotto come finalità consapevole e voluta; i fattori determinanti sono assolutamente ‘ciechi e incoscienti’, quindi al di fuori del dominio della volontà e della consapevolezza. Nella storia invece gli elementi attivi sono solamente gli uomini con la loro coscienza, le loro emozioni e la capacità di riflettere sulla realtà, ponendosi fini da raggiungere. Poi aggiunge che nulla accade ‘senza intenzione cosciente, senza uno scopo voluto’ (F. Engels, 1886, pp. 1136-7). In un secondo brano precisa che le motivazioni che muovono gli uomini ad agire sulla scena della storia sono assai spesso incoscienti, anzi queste sono i motivi ultimi, specie quando mettono in moto grandi masse, popoli o intere classi. Queste azioni motivate incoscientemente sono di lunga durata e mettono capo a grandi trasformazioni storiche. Engels, che intuisce l’importanza degli stati non coscienti della mente, afferma che valutare nel giusto modo come tali cause determinanti e inconsce si riflettano, divenendo coscienti, nella psicologia delle masse e in quella dei loro capi è l’unica possibilità che permetta la comprensione delle leggi della storia in generale e anche quella dei singoli paesi o di determinati periodi storici. Poi Engels aggiunge: «Ciò che mette in movimento gli uomini deve passare per il loro cervello; ma la forma che esso assume nel loro cervello dipende molto dalle circostanze» (ivi, p. 1139). Engels in sostanza giunge alla considerazione che vi sono dei fattori inconsci nello sviluppo della storia e tanto più nel divenire della natura, come del resto aveva già fatto notare Arthur Schopenhauer (1788-1860) col suo concetto di ‘volontà’, modalità dinamica e involontaria e impersonale della natura nel suo continuo processo di trasformazione. Questi fattori inconsci, riflette Engels, debbono, in qualche maniera condizionare o interagire coi fattori coscienti, con la volontà che emerge negli uomini sia nel loro essere elementi di una massa, sia quando assumano ruolo di ‘capi’, i cosiddetti ‘grandi uomini’. A questo ragionamento si riferisce Plechanov che, come vedremo, pone direttamente il problema del ruolo della personalità nella storia. Dunque non soltanto la coscienza o l’autocoscienza, hanno diritto d’asilo nella ricerca storica, ma si inizia a pensare che se il fattore soggettivo è implicato nei mutamenti della società – come potrebbe non esserlo – esso non è composto soltanto di istanze immediatamente coscienti” [Andrea Pitto, ‘Wilhelm Reich e il Freudo-Marxismo. Psicoanalisi e politica’, Milano, 2017]