“Questa parentesi dura fino ai primi anni del ‘900, quando, fin dal 1905 e in connessione con la ripresa degli interessi coloniali italiani verso la Somalia e la Tripolitania, il Di San Giuliano collega la discussione della legge sul ‘Literacy test’ presso il congresso degli Stati Uniti, con l’esigenza di rafforzare i tentativi di penetrazione pacifica in Libia, secondo l’adagio, già collaudato per la Tunisia, che le braccia devono precedere il capitale [Di San Giuliano 1905, 104]. La penetrazione (italiana), invece, sarà tutt’altro che pacifica: nel 1911 anche l’Italia si getta sulle spoglie dell’Impero Turco con la guerra di Libia. La copertura, questa volta, venne da parti inattese, come dal socialista Antonio Labriola (16), un episodio che fece dire più tardi a Gramsci: «Se osservate bene, due sono i motivi fondamentali intorno ai quali avvengono le crisi successive del sindacalismo e il passaggio graduale dei dirigenti sindacali nel campo borghese: l’emigrazione e il libero scambio, due motivi strettamente legati al meridionalismo. Il fatto della emigrazione fa nascere la concezione della «nazione proletaria» di E. Corradini; la guerra libica appare a tutto uno strato di intellettuali come l’inizio dell’offensiva della «grande proletaria» contro il mondo capitalistico e plutocratico» [Gramsci 1970b, 144]. Lenin, nel 1915, avalla questa interpretazione, attaccando il socialsciovinista Labriola e notando ironicamente come gli eventi diano ragione alle tesi di Michels, secondo cui l’Italia, per densità di popolazione e intensità di espatri, dovrebbe essere la seconda nazione coloniale: ciò sta avvenendo solo perché l’irrisolta questione delle masse popolari, così drammaticamente illustrata dalla crociata dell’emigrazione, genera frustrazione e senso di inferiorità nella classe dirigente italiana, spingendola alle rivalse ed ai colpi di testa di un «imperialismo della povera gente» [Lenin 1971a, 106-108]. Esponente sintomatico di questi atteggiamenti è il Di San Giuliano che, mentre predicava lo spostamento dell’asse degli interessi italiani verso il Mediterraneo, nel 1911 millantò che il governo avrebbe potuto anche impedire l’emigrazione, se lo avesse voluto. Gli risponderà Salvemini, dicendo che non aveva neppure il senso del ridicolo [Manzotti 1969, 2, 113]. Anche per la Libia si ripeté la storia ormai consueta (17)” [Ercole Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale’, Bologna, 1979] [(16) Cfr. a tale proposito: D’Attorre [1974, 116]; Degl’Innocenti [1974, 1302 ss.]; (17) A. De Viti De Marco, ‘Il parassitismo tripolino e il Mezzogiorno’, da “L’Unità” del 16.3.1912, in Villari [1971, 3, 426-428]. Il De Viti De Marco contrappone di nuovo, per la Libia, un progetto di colonizzazione democratica e di popolamento in regime non protezionista, al blocco di forze che avevano guidato la svolta protezionistica. Il tutto in chiave meridionalistica e per offrire uno sbocco alternativo alla nostra emigrazione, «…che è la sola grande forza espansiva dell’Italia»] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]