“Marx s’è nutrito alla scuola di Smith e questo era il suo maggior vanto rispetto agli economisti «volgari». Nella sua infedeltà esegetica egli fu più profondamente fedele alla ‘Ricchezza’ di Ricardo, Malthus e seguaci. Difatti Smith non aveva altra ortodossia se non quella di investigare indeterminatamente, come il Galilei dei ‘Dialoghi’, attorno all’oggetto della ricerca. Di lui classici, radicali e neoclassici hanno fatto soprattutto glossa, e il trionfo della libertà commerciale o liberismo è stato largamente una circostanza di interessi e d’opinione. La fedeltà di Marx è stata invece di elezione. Egli certamente non gli ha fatto giustizia adottando l’idea che il lavoro è l’elemento che commisura tutti gli oggetti di scambio ottenuti attraverso la produzione anche nell’ambito della società capitalista e differenziata, cioè un criterio commutativo per tempi di lavoro, che Smith riteneva potesse valere solo in epoche antiche e incolte. Inoltre, se in altro luogo della ‘Ricchezza’ Smith sembra anticipare Marx nel dire biblicamente (1) che quando la terra di un paese è appropriata, i proprietari, «come tutti gli uomini, amano raccogliere dove non hanno mai seminato» e domandano quindi una rendita, subito argomenta come l’uso stesso del capitale che impiega il lavoro, diversamente dai tempi primitivi senza divisione del lavoro, sia titolo non arbitrario a una quota di prodotto o profitto. Però Marx ha sviluppato il genio di Smith: con la teoria del valore-lavoro; con la distinzione di lavoro produttivo e improduttivo; con il diritto del lavoro all’intero reddito da esso prodotto; con il diverso «command of labour» che il capitale circolante ha nelle diverse attività o industrie e conseguente distinzione del rapporto fisso-circolante, che in Marx diventa «composizione organica», per industrie a composizione superiore, con quota relativamente elevata di capitale fisso, e industrie a composizione inferiore, con rapporto fisso-circolante relativamente basso; con la caduta del saggio di profitto e il tentativo di dividere la parte di questo originata dal capitale da quella originata dall’imprenditore; con la critica al colonialismo. E restiamo alle prime associazioni. Centrando sul capitale la sua critica all’economia politica, Marx ha sviluppato le possibilità e i modi del divenire del sistema produttivo e con esso della società. Per l’analisi come per il sentimento e per i criteri determinativi della politica economica questo ha conseguenza ben maggiore della riduzione utilitaristica di osservanza classica e neoclassica. L’economia difatti è diventata veramente politica per le implicazioni del processo di interazione dei fattori della produzione. E sotto questo profilo, List, teorico delle forze produttive, non a torto definiva «annacquatori» i maggiori seguaci di Smith, a cominciare da Say. Marx ed epigoni, al contrario, hanno usato l’alambicco e fatto teorema di una quantità di intuizioni e illustrazioni smithiane” [dall’introduzione al volume ‘I grandi classici dell’economia. Smith. La ricchezza delle nazioni. Parte I’, Milano, 2010, a cura di Anna e Tullio Bagiotti] [(1) Luca, XIX, 23; «Tu sapevi che sono un uomo severo, che colgo ciò che non ho piantato e mieto ciò che non ho seminato»]