“Vi è la ben nota affermazione del ‘Manifesto del Partito comunista’ del 1848, secondo la quale: «Quelli che furono finora i piccoli ceti medi, i piccoli industriali, i negozianti, la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori; tutti quei ceti sprofondano nel proletariato. (…)». Certo, vi è qui una affermazione di tendenza, valida però in riferimento a ‘quei’ ceti pre-capitalistici che lo sviluppo economico era in via di travolgere. Ciò che nel ‘Manifesto’ non appare, è il fatto – constatabile nel corso del secolo che ha fatto seguito alla redazione del Manifesto – della persistenza e insieme della trasformazione continua dei ceti medi; anzi, della nascita di ‘nuovi’ strati intermedi non incasellati direttamente nelle due classi fondamentali. Sarebbe però sbagliato trarre la conseguenza (come per Bernstein, ad esempio) che Marx aveva frainteso le tendenze di sviluppo capitalistico. Anzi, nella sua ‘Storia delle dottrine economiche’ (9), Marx – dopo aver notato che «l’operaio considera, e con ragione, lo sviluppo delle forze produttive del proprio lavoro come a lui ostile; d’altra parte il capitalista lo tratta come un elemento da allontanare costantemente dalla produzione» – in polemica con Ricardo nota: «ciò che egli [Ricardo] dimentica di mettere in evidenza, è il costante accrescimento delle classi medie che si trovano nel mezzo, fra gli operai da una parte e i capitalisti e i proprietari fondiari dall’altra; in gran parte mantenute direttamente dal reddito (nota: dal lavoro produttivo), che gravano come un peso sulla sottostante base lavoratrice e accrescono la sicurezza e la potenza sociale dei diecimila soprastanti»” [(9) K. Marx, ‘Storia delle dottrine economiche’, vol. II, Einaudi, Torino, 1955] (pag 1220); “Sotto questo profilo, l’ideologia del “ceto medio” imprenditoriale è sostanzialmente reazionaria, conservatrice dell’ordine sociale: quand’anche sembra ribellarsi al peso delle strutture economiche oligopolistiche e alla loro programmazione “totalizzante”, il ceto medio si ribella allo sviluppo economico: come Marx diceva a proposito di Proudhon e dei piccoli borghesi: «essi vogliono tutti la concorrenza senza le conseguenze necessarie di queste condizioni» (21). Non a caso, del resto, negli strati piccolo-borghesi hanno sempre avuto larga diffusione movimenti politici più reazionari, da quelli fascista e nazista, per giungere al “qualunquismo” italiano del primo dopoguerra, o al “poujadismo” francese. Si potrebbe obiettare a questo riguardo che oggi in Italia vi sono gruppi rilevanti di piccoli imprenditori i quali hanno stabilito rapporti di alleanza, anche se fragili, con partiti che si richiamano alla classe operaia. Ma tali rapporti appaiono equivoci, in quanto reggono nella misura in cui i partiti operai ‘non agiscono’ come partiti rivoluzionari, ma fanno proprie anche istanze piccolo-borghesi. (Vi sono naturalmente eccezioni di piccoli imprenditori che – come notava già il ‘Manifesto’ del 1848 – «se sono rivoluzionari, lo sono in vista del loro imminente passaggio al proletariato; cioè non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri»). Non appena però un contrasto di classe anche soltanto di carattere sindacale, colpisce gli interessi immediati del piccolo imprenditore, l’alleanza non è più che un guscio vuoto, e il piccolo borghese, nella sua maggioranza, si affianca alla classe capitalistica dominante” [Camillo Daneo, ‘Struttura e ideologia del ceto medio’, ‘Problemi del socialismo’, n. 23, ottobre 1967] [(21) K. Marx, da una lettera ad Annenkov (1846)] (pag 1241)