“So bene che queste definizioni (regno della libertà, regno della necessità) forse già nel Settecento, ma certo soprattutto nell’Ottocento (Schiller – è stato detto – Hegel, Marx, Engels, eccetera) erano locuzioni correnti; e so che l’uso di queste locuzioni è discutibile, anche in Marx, naturalmente. A me è rimasto il rammarico di non averne potuto discutere di persona, prima che morisse, col compagno della Volpe, il quale non senza fondamento accusava (…) Marx di avere compiuto un delitto di leso socialismo e di lesa filosofia quando nel ‘Capitale’ (un passo famoso), rimanda a fuori del lavoro il regno della libertà. La libertà fuori del lavoro – obiettava della Volpe – è la negazione del lavoro come attività propria dell’uomo, come rapporto dell’uomo con la natura e con gli altri uomini: non è concepibile una tale libertà. Però è anche vero che, nelle condizioni storiche date, il lavoro per Marx è l’uomo perduto a se stesso; e comunque egli sottolinea (nel ‘Capitale’) che c’è sempre un momento di confronto con la natura in cui l’uomo è sottoposto a necessità che lui stesso non crea, ma che si trova di fronte, come un dato e con le quali deve fare i conti. Bisognerà approfondire meglio anche queste definizioni che nello stesso Marx, come additava della Volpe, possono essere state non sempre coerenti, o forse francamente contraddittorie” [Mario Alighiero Manacorda, La scuola degli adolescenti. Dieci anni di ricerche e dibattiti sulla riforma dell’istruzione secondaria, 1979]
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- Articolo pubblicato:12 Novembre 2013