“Gli stessi Marx e Engels, nel programma di misure immediate da prendere da parte della classe lavoratrice giunta al potere, indicate nel ‘Manifesto dei comunisti’ (ma molte di esser erano già ampiamente propugnate dai movimenti democratici e socialisti degli anni precedenti il 1848), davano una parte preponderante a quelle relative alla pianificazione. La centralizzazione del credito nelle mani dello Stato mediante una banca nazionale, la proprietà statale dei mezzi di trasporto e comunicazione, l’uguale dovere per tutti di lavorare, il diffondersi di fabbriche di proprietà dello Stato, lo sviluppo dell’agricoltura «in armonia con un piano comune», sono fra le misure che il ‘Manifesto dei comunisti’ considera «applicabili in linea di massima». Ma nello stesso tempo il ‘Manifesto’ prevedeva, mediante tutto ciò, la formazione di «una vasta associazione di tutto il popolo… in cui il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione per il libero sviluppo di tutti». E di nuovo, nella sua ‘Guerra civile in Francia’ (1871), Marx poneva particolare attenzione al decreto della Comune di Parigi (16 aprile 1871) per cui le società cooperative di operai dovevano assumere la gestione delle fabbriche chiuse, per poi organizzarsi in una grande unione al fine di «ordinare la produzione nazionale in base a un piano comune», così «ponendo fine alla costante anarchia e alle periodiche convulsioni che sono fatalmente congiunte col sistema capitalista di produzione». Marx diceva che questa specie di attività ‘cooperativa’ (cioè volontaria) era già praticamente un passo verso il comunismo, ed Engels, nella sua introduzione del 1891, lo chiamava «il decreto di gran lunga più importante emesso dalla Comune». Già nell”Anti-Dühring’ (1878) Engels aveva previsto che la distruzione del sistema capitalista da parte dei lavoratori avrebbe significato «la sostituzione dell’anarchia nella produzione sociale con una regolamentazione socialmente pianificata della produzione, in armonia coi bisogni sia della società nel suo insieme che di ciascun individuo». E questa produzione pianificata non solo non impedirebbe, ma anzi al contrario garantirebbe a tutti i membri della società «lo sviluppo e l’esercizio, completi e illimitati, di tutte le loro facoltà fisiche e mentali». Da quel momento, infatti, gli uomini entrerebbero per la prima volta in «condizioni realmente umane» – e sarebbe il «passaggio dell’umanità dallo stato di necessità a quello di libertà» (6). Ancora più evidente era il nesso tra la pianificazione e la democrazia industriale nell’opuscolo sulla società socialista ‘Il giorno dopo la rivoluzione’, scritto da Karl Kautsky, il più autorevole esponente della concezione marxista nei primi anni dell’Internazionale socialista dopo la morte di Engels. In questo opuscolo (7) edito nel 1902, Kautsky da un lato vedeva il futuro Stato socialista provvedere a «una regolazione sistematica anche nella circolazione dei prodotti, nello scambio fra industrie e industrie, fra produttori e consumatori», con la mano d’opera «assegnata ai singoli rami della produzione secondo un piano stabilito». Dall’altro lato egli asseriva che «un regime socialista avrebbe sin dall’inizio cercato di organizzare democraticamente la produzione» e che la disciplina della classe lavoratrice divenuta classe dirigente sarebbe stata simile a quella già vigente nei suoi sindacati, «una disciplina democratica, una sottomissione volontaria alla direzione liberamente eletta e alle decisioni della maggioranza dei compagni… Una fabbrica democratica si sostituirà all’attuale fabbrica aristocratica»” [Andrew Rothstein, ‘Profilo dell’economia sovietica’, 1951] [(6) Edizione inglese, 1935, pp. 314, 317-18; (7) Traduzione inglese (incompleta ‘The Social Revolution’ (La rivoluzione sociale), 1902, pp. 126, 130, 149]