“Già nel 1869, nel suo articolo «La teoria di Darwin e le scienze sociali», Mikhailovskii riferiva le vedute di Marx sul problema della divisione del lavoro, sottolineando naturalmente i suoi effetti negativi che, come egli ammetteva, erano stati pienamente compresi e spiegati dal punto di vista teorico dall’autore del ‘Capitale’ (52), riportava anche le concezioni di A. Smith, Ferguson, e altri – che Marx aveva citato sulla questione. E, in effetti, non è difficile trovare nel ‘Capitale’ molti passi che Mikhailovskii avrebbe potuto riprendere a sostegno delle sue tesi, ad esempio il seguente: «L’unilateralità e perfino l’imperfezione dell’operaio parziale diventano perfezione di lui come una delle membra dell’operaio complessivo. L’abitudine di compiere una funzione unilaterale lo trasforma nell’organo di tale funzione, che opera sicuramente e naturalmente, mentre il nesso del meccanismo complessivo lo costringe ad operare con la regolarità della parte d’una macchina. … Nella manifattura l’arricchimento di forza produttiva sociale da parte dell’operaio complessivo e quindi del capitale, è la conseguenza dell’impoverimento delle forze produttive dell’operaio… Un certo rattrappimento intellettuale e fisico è inseparabile perfino dalla divisione del lavoro nell’insieme della società in generale. Ma il periodo della manifattura portando molto più avanti questa scissione sociale delle branche di lavoro, e d’altra parte intaccando la radice stessa della vita dell’individuo solo in virtù della sua peculiare divisione del lavoro, fornisce anche per primo il materiale, l’impulso alla patologia industriale». Dopo di che Marx citava, approvando, dalle ‘Familiar Words’ di D. Urquhart: «Suddividere un uomo, è eseguire la sua condanna a morte, se merita la condanna; è assassinarlo se non la merita. La suddivisione del lavoro è l’assassinio d’un popolo» (53). Ci sembra che Mikhailovskii trovasse in queste espressioni di Marx non solo un forte sostegno alle sue concezioni già formate; è molto più probabile che ne rappresentassero l’effettivo punto di partenza, che egli non solo prendesse da Marx ciò che si adattava alla sua teoria ma che, in effetti, l’intelaiatura generale delle sue concezioni si sia formata sotto l’influsso decisivo del ‘Capitale’. Sembra certo che prima egli lesse Marx, e solo dopo individuò il problema della divisione del lavoro e dei suoi effetti distruttivi sulla totalità e pienezza dell’individuo in scrittori precedenti, come Rousseau e Schiller. Sembra molto probabile che la sua tesi fondamentale – l’affermazione dell’incompatibilità tra il progresso della società e quello degli individui – derivasse dal concetto di Marx che la perfezione dell’«operaio collettivo» viene conseguita a spese, e in rapporto inverso con lo sviluppo dell’operaio singolo. E’ realmente sorprendente la profondità con cui Mikhailovskii assimilò questo aspetto del pensiero di Marx e quanta poca attenzione fosse ad esso dedicata dai suoi avversari marxisti, come Plekhanov e, specialmente, dai «marxisti legali», i quali accantonarono quasi completamente le gravi contraddizioni e il lato tragico del progresso industriale. Le conclusioni di Marx e di Mikhailovski erano, naturalmente, del tutto differenti. Per l’autore del ‘Capitale’ la divisione del lavoro, culminante nel capitalismo moderno, fu un tremendo progresso e grazie ad essa «l’operaio si spoglia dei suoi limiti individuali e sviluppa le facoltà delle sua specie» (54). Per Mikhailovskii era vero l’inverso. Avendo trovato in Marx la conferma del concetto di Chernyshevskii secondo cui «la ricchezza nazionale» coincide con la povertà del popolo (55), egli proclamava che il benessere del popolo, cioè il benessere dei singoli lavoratori, avrebbe dovuto essere considerato la sola misura del progresso. Avendo appreso da Marx l’alto prezzo dello sviluppo capitalistico egli si rifiutava di pagare questo prezzo, e poneva le sue speranze nella possibilità di ridar vita alle forme arcaiche di vita sociale adattandole alle nuove condizioni. Così, dal punto di vista marxista, diventò un «sociologo romantico», cioè un reazionario nel senso storico-filosofico della parola. Perché, come disse Lenin: «appunto per questo errore si dà al romantico la qualifica pienamente meritata di ‘reazionario’, purché si intenda con questo termine non il desiderio di restaurare semplicemente le istituzioni medioevali, ma il tentativo di misurare la nuova società col vecchio metro patriarcale, il desiderio di cercare un modello nei vecchi sistemi e tradizioni che non corrispondono più alle mutate condizioni economiche» (56)” [Andrzey Walicki, ‘Marxisti e populisti. il dibattito sul capitalismo’, Milano, 1973] (pag 60-61-62) [(52) Mikhailovskii, op. cit., p. 170/2; (53) K. Marx, ‘Il capitale’, op. cit., pp. 392, 405, 406/7 (tutte citazioni tratte dal cap. XIV: “Divisione del lavoro e manifattura”); (54) K. Marx, op. cit., p. 371; (55) Cfr. per esempio, la seguente citazione dal ‘Capitale’: «Tuttavia il sec. XVIII non ha compreso ‘l’identità fra ricchezza nazionale e povertà popolare’ così a fondo come il secolo XIX» (Ibid, p. 789); (56) Lenin, ‘Opere complete, op. cit., vol. II, p. 232]
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- Articolo pubblicato:5 Ottobre 2016