“La prima, urgente domanda è molto semplice: a che cosa serve lo sviluppo dell’industria, a che cosa servono tutte le innovazioni tecniche, tutta quella fatica, tutti quegli esodi, se in capo a mezzo secolo di crescita industriale la situazione delle masse resta sempre così miserabile, e se si è ridotti a proibire il lavoro in fabbrica ai bambini al di sotto degli 8 anni? Il fallimento del sistema economico e politico dominante appare del tutto ovvio. La seconda domanda è altrettanto ovvia: che cosa si può dire dello sviluppo a lungo termine di un tale sistema? Il compito che Marx si propone è appunto quello di dare una risposta. Nel 1848, alla vigilia della Primavera dei popoli, ha già pubblicato il ‘Manifesto del Partito comunista’, testo breve ed efficace che si apre con la famosa frase “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo” (6) e termina con la non meno famosa profezia rivoluzionaria: “Lo sviluppo della grande industria ha tolto da sotto i piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa ha fissato il proprio sistema di produzione e di appropriazione. E’ la borghesia a produrre innanzitutto i suoi stessi becchini. La caduta della borghesia e la vittoria del proletariato sono parimenti inevitabili”. Marx, nei due decenni successivi, si dedicherà alla stesura del voluminoso trattato che dovrà giustificare la conclusione del ‘Manifesto’ e porre le fondamenta dell’analisi scientifica del capitalismo e del suo crollo. L’opera resterà incompiuta: il Libro I del ‘Capitale’ viene pubblicato nel 1867, ma Marx muore nel 1883 senza aver terminato i due volumi successivi, che verranno pubblicati postumi dall’amico Engels, sulla base dei frammenti manoscritti, a tratti oscuri, che Marx ha lasciato. Come Ricardo, Marx intende incentrare il proprio lavoro sull’analisi delle contraddizioni logiche connaturate al sistema capitalista. Aspira così a distinguersi sia dagli economisti borghesi (che vedono nel mercato un sistema autoregolato, ossia capace di equilibrarsi da solo, senza contraccolpi di rilievo, a somiglianza della “mano invisibile” di Smith e della “legge degli sbocchi” di Say), e dei socialisti utopisti o proudhoniani, i quali, secondo lui, si limitano a denunciare la miseria operaia, senza tuttavia proporre uno studio veramente scientifico dei processi economici in campo (7). Riassumendo, Marx muove dal modello ricardiano del valore del capitale e del principio di rarità, e spinge molto oltre l’analisi della dinamica del capitale stesso, considerando un mondo in cui il capitale è prima di tutto capitale industriale (macchine, attrezzature ecc.) e non terriero, e può dunque, in teoria, accumularsi illimitatamente. Di fatto la sua conclusione di fondo coincide con quello che possiamo chiamare “principio di accumulazione infinita”, vale a dire la tendenza inevitabile del capitale ad accumularsi e concentrarsi su scala illimitata, senza un termine naturale, da cui discende la soluzione apocalittica prevista da Marx: o si arriva a un calo tendenziale del tasso di profitto del capitale (il che manda in tilt il motore dell’accumulazione e può portare i capitalisti a sbranarsi a vicenda) o la quota di capitale del reddito nazionale si accresce indefinitamente (il che porterà i lavoratori, a più o meno scadenza, a unirsi e a ribellarsi). In ogni caso, non è ipotizzabile alcuno stabile equilibrio socioeconomico o politico. (…)” [Thomas Piketty, ‘Il capitale nel XXI secolo’, Milano, 2016] [(6) E prosegue poi così: “Tutte le potenze della vecchia Europa si sono congiunte in una Santa Alleanza per dare la caccia a questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi”. Il talento letterario e polemico di Karl Marx (1818-1883), filosofo ed economista tedesco, spiega sicuramente, almeno in parte, la sua immensa influenza; (7) Marx ha pubblicato nel 1847 ‘Miseria della filosofia’, libro nel quale ironizza sulla ‘Filosofia della miseria’ pubblicata alcuni anni prima da Proudhon]
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- Articolo pubblicato:31 Agosto 2016