“E’ poi vero che il detto relativo a razionale e reale si presenta nei ‘Lineamenti’ [di Hegel] con formulazione e significato realmente diversi rispetto ai corsi di lezioni? Procediamo a un confronto sinottico: 1817-18: § 134A : ‘Ciò che è razionale, accade necessariamente’ (‘muss geschehen’) / 1918-19: V. Rph III, 51 : ‘Soltanto il razionale può accadere’ / Lineamenti: ‘Ciò che è razionale, quello è reale (‘Was vernünftig ist, das ist wirklich’) / 1824-25: V. Rph, IV, 654 : ‘Ciò che è razionale è anche reale’. Per ora il confronto riguarda la prima parte del detto in questione: risulta chiaro che la formulazione dei ‘Lineamenti’ è ripresa anche dal corso di lezioni del 1824-25, e anche dai corsi precedenti non ci pare che emergano differenze radicali rispetto al testo dei ‘Lineamenti’: il razionale accade necessariamente, diventa reale, è reale. ‘Wirklich’ ha questo significato di movimento, e d’altro canto già il § 1 sempre dei ‘Lineamenti’ sostituisce ‘Verwirklichung’ a ‘Wirklichkeit’, allorché dichiara che la filosofia del diritto si occupa del «concetto del diritto e la sua realizzazione». E anche per quanto riguarda la seconda parte del detto, le differenze sono forse più sensibili ma certo non tali da far pensare ad un rovesciamento di posizioni: 1819-20: V. Rph, III. 51 : ‘Il reale diviene razionale’ / ‘Lineamenti’ : ‘Ciò che è reale, quello è razionale’ / 1822-23: V. Rph., III, 732 : ‘La realtà non è nulla di irrazionale (‘kein Unvernünftiges’) / 1831: V. Rph. IV, 123 : ‘Ciò che è reale, è razionale’. Sì, nel corso del 1819-20, è più esplicito il fatto che il divenire razionale del reale è un processo, ma questa idea di processo è già in qualche modo implicita, come si è visto, nella categoria di ‘Wirklichkeit’. Sì, nel corso del 1824-5 c’è la precisazione netta che «non tutto ciò che esiste è reale», ma è da dire che, per quanto riguarda i ‘Lineamenti’, ad apertura dell’esposizione (§ 1 A) si trova ugualmente formulata la distinzione tra «realtà» (‘Wirklichkeit’) ed «esistenza (‘Dasein’) transeunte, accidentalità esteriore», per non dire poi che già nella Prefazione si trova l’affermazione che «niente è reale (‘wirklich’) se non l’idea» (W, VII, 25). D’altro canto, è comprensibile che è soprattutto dopo le polemiche che Hegel avverte il bisogno di precisare il significato di ‘Wirklichkeit’, contrapponendola all’immediatezza empirica. Ma la distinzione non è né nuova, né tanto meno strumentale: intanto è ben presente nei ‘Lineamenti’ e poi, ad esempio, basta sfogliare l”Enciclopedia’ di Heidelberg per ritrovare, ad apertura della sezione dedicata alla «realtà» in senso forte, la distinzione tra ‘Wirklichkeit’ e ‘Erscheinung’; significativamente, nel passaggio dalla prima alla terza edizione il testo rimane immutato, a parte la numerazione (il § 91 diventa il § 142). La distinzione in questione non solo viene formulata sul piano logico generale, ma viene applicata e fatta valere anche nell’analisi storica. Nello scritto sulla dieta, questa è accusata di abbarbicarsi ad «una piattaforma meramente positiva, la quale a sua volta, in quanto positiva, non ha più nessuna realtà» (W, IV, 536). Qui ciò che è il ‘positivo’ si contrappone a ‘Wirklichkeit’: la realtà in senso forte non è il positivo immediatamente esistente. Ancora. Rifiutando la nuova costituzione, i deputati della dieta «dichiarano, sì, di essere un corpo rappresentativo, ma di un altro mondo, di un’epoca trascorsa, ed esigono che il presente si trasformi in passato, e la realtà nell’irrealtà» (W, IV, 493). Voler mettere in pratica rivendicazioni che non sono più all’altezza dei tempi significa voler trasformare la ‘Wirklichkeit’ in ‘Umwirklichkeit’; nella misura in cui non corrisponde alle esigenze più profonde dello spirito del tempo, la realtà in senso forte degrada ad esistenza empirica immediata. E’ dunque assurdo voler spiegare con un’immediata esigenza di accomodamento quella che è una proposizione teorica fondamentale della filosofia hegeliana, in tutto l’arco della sua evoluzione (3). Del resto nella ‘Fenomenologia’ si può ritrovare non solo la problematica, ma persino la formulazione che suscita tanto scandalo nei ‘Lineamenti’: ‘Fenomenologia dello spirito’: W., III, 112 ‘Ciò che deve essere, è, anche di fatto (in der Tat), e ciò che soltanto ‘deve’ essere, senza ‘essere’, non ha volontà alcuna. A ciò, da parte sua si attiene giustamente l’istinto della ragione’; ‘Lineamenti’: ‘Ciò che è razionale, quello è reale; e ciò che è reale, quello è razionale. A questa persuasione si attiene ogni coscienza ingenua, così come la filosofia’. E procedendo a ritroso, si può risalire fino al saggio sul Württemberg del 1798, poi andato perduto, dove decisamente si respinge la contrapposizione «tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere». Nel riportare questa citazione testuale, Haym riferisce che il saggio in questione, tutto pervaso dal «pathos dell’epoca della rivoluzione», attribuiva quella contrapposizione alla «pigrizia e l’egoismo dei privilegiati» (3). Il pubblicista liberale o nazional-liberale che condanna il celebre detto della Prefazione alla ‘Filosofia del diritto’ come espressione dello spirito della Restaurazione, allorché, da filologo, si imbatte in quella medesima problematica in uno scritto giovanile, è costretto a metterla in relazione non con la Restaurazione, ancora di là da venire, ma con la rivoluzione francese. D’altro canto, se Ilting condivide con larga parte della tradizione liberale l’orrore per quel detto famigerato, è da tener presente che l’affermazione della razionalità del reale non costituisce alcun motivo di scandalo per la tradizione di pensiero rivoluzionaria. Il giovane Marx che sottopone a critica serrata la ‘Filosofia del diritto’, non fa menzione di quel detto; e anzi, nella corrispondenza, polemizza con fervore tutto hegeliano contro l’«opposizione di reale e ideale» contro «la totale contrapposizione fra ciò che è e ciò che deve essere», opposizione che considera strumento d’evasione dalla realtà mondana e politica, e a cui, con trasparente reminiscenza della famigerata Prefazione, contrappone la tesi che bisogna «cercare l’idea nella realtà stessa» (4). A sua volta, Lenin trascrive ed evidenzia nei suoi ‘Quaderni filosofici’, quest’affermazione di Hegel desunta dalle ‘Lezioni sulla storia della filosofia’: «Ciò ch’è reale è razionale. Bisogna però saper distinguere che cosa sia effettivamente reale; nella vita quotidiana tutto è reale: ma esiste una differenza tra il mondo fenomenico e la realtà». Poi Lenin annota a fianco: «il reale è razionale». E leggendo le ‘Lezioni sulla filosofia della storia’, il grande rivoluzionario trascrive due volte l’affermazione secondo cui «la ragione governa il mondo», e non contento di ciò, la seconda volta appone a fianco un vistoso «NB» a sottolineare l’importanza dell’affermazione trascritta e la sua piena identificazione con essa (5). Ed è forse proprio Lenin che può fornire gli strumenti concettuali più adeguati per comprendere la distinzione hegeliana tra realtà in senso forte e semplice immediatezza empirica: c’è una realtà in senso strategico e una realtà in senso tattico; in ogni situazione storica una cosa è la tendenza di fondo (ad esempio, la soppressione della servitù della gleba, al momento del tramonto del feudalesimo), un’altra cosa sono le controtendenze reazionarie del momento (ad esempio le aspirazioni e i tentativi di far rivivere nel suo antico «splendore» l’istituto della servitù della gleba ormai tramontato o sulla via del tramonto, e quindi «irreale»), che certo non sono in grado di cancellare la realtà strategica della tendenza di fondo, e che però sul piano tattico sono ben presenti e di cui quindi si deve tener adeguatamente conto. Ma anche in Hegel alla realtà in senso forte, alla ‘Wirklichkeit’, non si contrappone il nulla. Il «mondo delle apparenze» (‘Erscheinungswelt’), di cui parla la prima delle due citazioni qui prese in considerazione, non è il non-essere. E’ lo stesso Lenin a
sottolineare con favore, trascrivendo e commentando questa volta la ‘Scienza della logica’, che in Hegel la stessa «parvenza» (‘Schein’) ha una sua oggettività. Sì – dichiarano i ‘Quaderni filosofici’ – «la parvenza è oggettiva, poiché in essa è presente uno dei lati del mondo ‘oggettivo’… Non solo il Wesen (essenza), ma anche lo Schein (parvenza) è oggettivo» (6). «Parvenza» e «apparizione» sono esse stesse reali, ma, ovviamente, non hanno lo stesso grado di realtà del ‘Wesen’ e della ‘Wirklichkeit’, ed è solo quest’ultima che, esprimendo la dimensione strategica, la tendenza di fondo del processo storico, può aspirare al predicato della razionalità” [Domenico Losurdo, ‘Hegel Marx e la tradizione liberale. Libertà uguaglianza Stato’, Roma, 1988] (pag 47-51) [(3) ‘Hegel und seine Zeit’, cit. pp. 66-67; (4) Lettera al padre del 10.11.1837, in MEW, Ergänzungsband I, pp. 4-8 (MEOC, I, p. 9-14; la razionalità del reale il giovane Marx la celebra non solo in prosa, ma anche in versi, sia pure mediocri: «Kant e Fichte vagabondavano volentieri tra le nuvole: / cercavano lassù un paese lontano. / Io invece cerco soltanto di afferrare destramente / quanto ho trovato per la strada!», trad. it. di L. Firpo, in K. Marx, ‘Scritti politici giovanili’, Torino, 1950, p. 490; (5) V.I. Lenin, ‘Quaderni filosofici’, a cura di I. Ambrogio, Roma, 1969, pp. 283 e 309-10; per le citazioni da Hegel, cfr. W., XIX, 110-111 e XII; (6) Ivi, p. 98] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]