“Nel 1842 il giovane Marx scriveva sulla «Rhenische Zeitung» che per la borghesia il vero pericolo era costituito dall’elaborazione teorica delle idee comuniste e non dalla loro sperimentazione pratica, cui si sarebbe potuto rispondere a cannonate, non appena si fosse fatta pericolosa (1). Nemmeno otto decenni più tardi i pochi cannoni ancora esistenti in Germania e in Austria, dopo la guerra perduta, erano tutt’altro che sotto l’esclusivo controllo della borghesia. Il tempo era maturo per osare l’esperimento pratico. Questa l’opinione condivisa dalle masse lavoratrici che erano tornate amareggiate dal fronte e respingevano l’idea di una pura e semplice «Repubblica del borsellino» (2). Questa l’opinione condivisa dal vertice del partito in quanto loro portavoce: «Che cosa vogliamo noi socialdemocratici? Anzitutto la socializzazione, per quanto attualmente è possibile, dunque l’esclusione dell’imprenditore e il trasferimento dei mezzi di produzione alla proprietà collettiva». Persino autori di parte indiscutibilmente borghese erano convinti che avrebbero assistito alla vittoria del socialismo (4), vedendo addirittura delinearsi con chiarezza di fronte a sé la via di questa marcia trionfale (5). E’ facile comprendere come la condizione generale del momento costituisse una sfida aperta a sperimentare. L’apparato statale non dominava la situazione, privo com’era del vertice burocratico, la cui posizione peraltro poteva essere usurpata senza difficoltà dai socialdemocratici, poiché nella confusione generale nessuno era in grado di contenderla loro (6). Le dimostrazioni degli operai dominavano la scena, il loro potere era palese e aveva un’immensa forza di attrazione sulle masse, che si rivolgevano ai socialisti «poiché essi erano esperti in materia di rivoluzione» (7). Persino in alcuni settori del mondo contadino, che pure aveva fama di essere conservatore, si guardava alla socialdemocrazia «per protesta contro ciò di cui si è nauseati» (8). Lo stesso ceto medio, un tempo trattato con particolare attenzione dai partiti borghesi in quanto loro colonna portante, aveva a tal punto sofferto per la guerra che «avrebbe teso la mano persino al diavolo, se questo avesse promesso una prospettiva di salvezza» (9). A prescindere dalla propria volontà, la socialdemocrazia si vide costretta a porsi al vertice dell’ondata rivoluzionaria per non esserne sommersa (10). In breve: non la socialdemocrazia, non il movimento operaio sfidarono il loro tempo, ma piuttosto il loro tempo lanciò la sfida, quel tempo «che pose a un socialismo solo parzialmente preparato a un simile impegno il suo maggiore compito teorico e in cui il marxismo dovette adeguarsi di colpo a una situazione storica del tutto imprevista» (11). La socialdemocrazia accettò la sfida. In Germania formò il governo e in Austria dominò una coalizione con le forze borghesi” [Erwin Weissel, ‘L’Internazionale socialista e il dibattito sulla socializzazione’, (in) ‘Storia del marxismo’, Volume terzo, ‘Il marxismo nell’età della Terza Internazionale. I Dalla rivoluzione d’Ottobre alla crisi del ’29’] [(1) K. Marx, ‘Scritti politici giovanili’, a cura di L. Firpo, Torino, 1975, p. 174; (2) F. Stampfer, ‘Die ersten 14 Jahre der Deutschen Republik’, Offenbach, 1947, p. 77; (3) ‘Sozialisierung und Planwirtschaft!’, opuscolo della Direzione del partito socialdemocratico, riportato in R. Wissell, ‘Praktische Wirtschaftspolitik’, Berlin, 1919, p. 136; (4) K. Bücher, ‘Die Sozialisierung’, Tübingen, 1919, p. 21: «Personalmente sono convinto della inevitabilità di una vittoria definitiva del socialismo; ciò nonostante non ho mai creduto che vivrò tanto da vedere il tempo in cui esso dovrebbe realizzarsi»; (5) Cfr. per esempio F. Eulenburg, ‘Arten und Stufen der Sozialisierung’, München, 1920; (6) Bücher, ‘Die Sozialisierung’, cit., p. 11; (7) P. Szende, ‘Die Krise der mitteleuropäischen Revolution’, in “Archiv für Sozialwissenschaft und Sozial politik”, vol. XLVII, 1920, p. 572; (8) R. Wilbrandt, ‘Sozialismus’, Jena, 1919, p. 12; (9) P. Lensch, ‘Sozialdemokratie  und Sozialiserung’, Berlin, 1920, p. 6; (10) Cfr. C. Landauer, ‘European Socialism. A History of Ideas and Movements’, Berkeley – Los Angeles, 1959, vol. I, p. 683; (11) J. Plenge, ‘Drei Jahre Weltrevolution’, in “Schmollers Jahrbuch’, XLII, 1918]