“Anche dopo la rivoluzione di Febbraio [1917] Plechanov e Kropotkin appoggiarono a spada tratta la politica guerriera del governo provvisorio. Disse allora Plechanov: «La stretta unione con tutti i cittadini di fronte al pericolo d’una nuova disfatta nella lotta per la libertà è il compito che sta davanti al proletariato rivoluzionario russo» (2) dove per «lotta per la libertà» si intendeva appunto la guerra contro i tedeschi. Dietro questa girandola di timori, velleità, speranze, cogitazioni c’era, oscuro e formidabile, il regno della realtà: le masse umane, i soldati, i contadini (…). E in una lettera a Lenin, senza data, ma dell’ottobre 1917, un soldato, tale Maslenkov, dichiara acerbamente: «…vi diamo un termine: se non finite la guerra i soldati non vogliono restare nelle trincee. Scapperemo tutti nelle retrovie, e se gli alleati non vogliono finire la guerra, combattano pure loro, noi altri no» (3). Tra gli uomini più accorti del governo provvisorio non mancava chi, come il ministro della guerra A.I. Verchovenskij, sapeva la situazione militare e intendeva quale arma fosse, in mano ai bolscevichi, la politica di rivendicazione della pace. Verchovenskij, per neutralizzare l’incombente pericolo rivoluzionario, era pronto a sacrificare parte del territorio russo, però non ammetteva che si potesse incrinare l’unità con gli alleati e vagheggiava una pace col loro accordo e con la loro partecipazione. Ma i contatti del ministro russo con le potenze alleate dimostrarono subito l’inconsistenza delle sue speranze (4). Alla vigilia dell’insurrezione di Pietrogrado la maggioranza del Pred-parlament (5) prese una risoluzione in cui s’invitava il governo a rivolgersi immediatamente agli alleati per proporre pubblicamente le condizioni di pace e iniziare le trattative. Questo progetto, che subito respinto da Kerenskij fu l’ultimo atto che mirasse a fugare la “catastrofe” rivoluzionaria ormai vorticante alla porte (6). Lenin nel settembre del ’17 scriveva: «…’soltanto la nostra’ vittoria nell’insurrezione ‘spezzerà’ il gioco di una pace separata contro la rivoluzione, lo spezzerà proponendo  apertamente una pace più completa, più giusta, più rapida, una pace ‘favorevole’ alla rivoluzione. Solo il nostro partito, infine, dopo aver vinto nell’insurrezione, può salvare Pietrogrado, perché se la nostra offerta di pace sarà respinta e non otterremo almeno un armistizio, ‘noi’ diventeremo dei “defensisti”, ci metteremo ‘alla testa dei partiti di guerra’, diventeremo il partito “di guerra” più accanito, faremo la guerra in modo veramente rivoluzionario» (7)” [Vittorio Strada, ‘La pace di Brest-Litovsk e il dibattito nel Partito bolscevico’ (in) ‘Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa’], Torino, 1969] [(2) ‘Nuzna li vojna?’, Moskva 1917, p. II. Traggo la citazione da O. Chechnovicer, ‘Literatura i mirovaja vojna’, cit., p. 350; (3) Le lettere citate sono riprese da ‘Sldatskie pis’ma 1917 goda’, a cura di O.N. Caadaeva, con la prefazione di M.N. Pokrovskij, Moskva-Leningrad, 1927; (4) A.I. Verchovenskij, ‘Na trudnom perevale’, Moskva, 1959, pp. 386-87; (5) Il Predparlament fu un organo consultivo del governo provvisorio formato dalla cosiddetta consulota democratica (Demokraticeskoe sovescanie) su iniziativa dei socialisti rivoluzionari e dei menscevichi con la partecipazione dei bolscevichi “di destra”; (6) A.V. Ignat’ev, A.E. Ioffe, Mezdunarodnaja obstanovka nakanune oktjabrja’, in “Vosprosy istorii”, 1962, fasc. II, p. 76; (7) V.I. Lenin, ‘Socinenija’, Moskva, 1949, vol. XXVI, p. 7] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]