“In questa nota ci proponiamo di esaminare soltanto il materiale che offrono sulla questione i libri pubblicati dopo l’inizio della guerra dal professore borghese Roberto Michels: ‘L’imperialismo italiano’ (1914) e dal socialista T. Barboni: ‘Internazionalismo o nazionalismo di classe’ (Il proletariato d’Italia e la guerra europea)’ (1915). (…) L’imperialismo italiano è stato chiamato “l’imperialismo della povera gente” in considerazione della povertà dell’Italia e della disperata miseria delle masse degli emigrati italiani. Lo sciovinista italiano Arturo Labriola, che si distingue dal suo avversario G. Plekhanov solo perché ha rivelato un po’ prima il suo socialsciovinismo e perché è giunto a questo socialsciovinismo attraverso il semianarchismo piccolo borghese e non attraverso l’opportunismo piccolo-borghese, questo Arturo Labriola scriveva nel suo libro sulla guerra di Tripoli (1912): “… E’ chiaro che noi non lottiamo soltanto contro i turchi, … ma anche contro gli intrighi, le minacce, il denaro e gli eserciti dell’Europa plutocratica, la quale non può tollerare che le piccole nazioni osino fare anche un solo atto o dire una parola che comprometta la sua ferrea “egemonia”” (p. 22). “E il capo dei nazionalisti italiani dichiarava: “… come il socialismo fu il metodo di redenzione del proletariato dalle classi borghesi, così il nazionalismo sarà per noi italiani il ‘metodo di redenzione’ dai francesi, dai tedeschi, dagli inglesi, dagli americani del Nord e del Sud che sono i nostri borghesi”. (…) Fino alla guerra di Tripoli, l’Italia non aveva depredato altri popoli, o, almeno, non in grande misura. Non è questo un affronto insopportabile per l’orgoglio nazionale? Gli italiani sono oppressi e umiliati di fronte alle altre nazioni. L’emigrazione italiana ammontava a circa 100.000 persone all’anno verso il 1870, e giunge ora a una cifra che varia da mezzo milione a un milione: e son tutti miserabili che la fame, nel senso letterale della parola, caccia dal loro paese, fornitori di forza-lavoro per le industrie che danno i salari peggiori, una massa che popola i quartieri più affollati, poveri e sudici della città d’America e d’Europa. Il numero degli italiani che vivono all’estero è salito da un milione nel 1881 a cinque milioni e mezzo nel 1910, di cui la più gran parte spetta a paesi “grandi” e ricchi, nei quali gli italiani costituiscono la massa operaia più rozza, più “greggia”, più misera e del tutto priva di diritti. (…) Come dunque non riconoscere con Labriola e gli altri “plekhanovisti” italiani, che l’Italia ha “diritto” alla sua colonia di Tripoli, a opprimere gli slavi nella Dalmazia, a prender parte alla spartizione dell’Asia Minore, ecc.! Come Plekhanov difende la guerra “di liberazione” della Russia contro l’aspirazione della Germania a fare di essa una sua colonia, così il capo del partito riformista, Leonida Bissolati, strilla contro “l’invasione del capitale straniero in Italia”” (p. 97): “capitale tedesco in Lombardia, inglese in Sicilia, francese nel Piacentino, belga nelle imprese tranviarie, ecc. ecc., senza fine. La questione è posta in modo categorico e non si può non riconoscere che la guerra europea ha recato all’umanità l’enorme vantaggio di porre la questione stessa, di fatto, categoricamente, davanti a centinaia di milioni di uomini delle diverse nazioni: o difendere col fucile o con la penna, direttamente o indirettamente, in una forma qualunque, i privilegi della grande potenza in genere o i vantaggi o le pretese della “propria” borghesia, e ciò vuol dire esserne i seguaci e servitori, ‘oppure’ servirsi di ogni lotta, e soprattutto di ogni lotta armata per quei privilegi, allo scopo di smascherare e abbattere ogni governo, e in prima linea, il ‘proprio’ governo per mezzo dell’azione rivoluzionaria del proletariato internazionalmente solidale. Non c’è via di mezzo; in altre parole: il tentativo di prendere una posizione intermedia significa in realtà un passaggio camuffato dalla parte della borghesia imperialista’ (1). Nota: (1) Questo articolo “Imperialismo e socialismo in Italia” è stato pubblicato la prima volta sul ‘Kommunist’, n. 1-2 agosto 1915 (vol. XVIII, pp. 289-296)” [V.I. Lenin, Sul movimento operaio italiano, Roma, 1970]  [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]