“Anche la storia del giovane movimento rivoluzionario della nostra classe è lastricata di sconfitte: sia il 1848-49 sia la Comune di Parigi furono delle sconfitte, e anche il grande ciclo di lotte avviatosi nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre terminò con una gravissima disfatta internazionale. Non sempre, però, la sconfitta della classe deve necessariamente coincidere con quella del suo partito. Anche il 1905 russo fu una sconfitta per il proletariato, ma non lo fu per i bolscevichi, che anzi riuscirono a trasformare una sconfitta di classe in una vittoria del partito. Nel febbraio 1909 Lenin scrive: «Le grandi battaglie della storia, i grandi problemi della rivoluzione sono stati sempre risolti perché le classi d’avanguardia hanno rinnovato più di una volta il loro assalto, riportando la vittoria dopo aver fatto tesoro dell’esperienza delle disfatte. Gli eserciti sconfitti imparano molto». Mai le rivoluzioni hanno vinto con l’assalto iniziale e sempre i partiti rivoluzionari hanno posto le premesse della vittoria facendo tesoro dell’esperienza delle sconfitte e apprendendo la «scienza della ritirata». Una scienza che non è meno importante della «scienza dell’offensiva». Commenta Arrigo Cervetto ne ‘L’involucro politico’: «Una delle condizioni principali del successo del bolscevismo, dice Lenin, è di essere sorto da una granitica base teorica». Ciò permise ai bolscevichi di apprendere dalle inevitabili disfatte subite dal movimento rivoluzionario. «Per questo – continua Cervetto – «fra tutti i partiti d’opposizione e rivoluzionari battuti, il partito dei bolscevichi si ritirò con maggior ordine, con le minori perdite per il suo “esercito”, conservando meglio il suo nucleo, con le scissioni minori (per profondità e insanabilità), con la minore demoralizzazione e con la maggiore capacità di riprendere il lavoro nel modo più ampio, giusto ed energico». Dunque, solo una visione oggettivistica e meccanicistica può spiegare la sconfitta dell’Internazionale Comunista (IC) e, in particolare, quella della sua sezione italiana come un risultato necessario e inevitabile della disfatta subita dalla nostra classe negli anni Venti e Trenta per effetto della controrivoluzione socialdemocratica, fascista e stalinista che seguì il grande assalto proletario mondiale del 1917. Semmai, annota Cervetto in ‘Forze e forme del mutamento italiano’, una granitica base teorica e la conseguente capacità di apprendere dall’esperienza della sconfitta non possono che rafforzare il partito: «Il Partito leninista, forte della sua scienza e della sua strategia, non può subire la disfatta che investe la classe operaia quando ne ha compreso tutte le cause; anzi, più assimila questa esperienza e più è destinato a rafforzarsi e a svilupparsi in tutti i sensi»” (pag 9-10, introduzione) [‘Pcd’I 1921. 100 anni. 100 militanti del Partito comunista d’Italia’, Edizioni Lotta Comunista, Milano, 1920, a cura di Gian Giacomo Cavicchioli e Emilio Gianni]