“(…) quando Marx inizia lo studio critico dell’economia politica e giunge alle sue conclusioni rivoluzionarie (il ‘Manifesto’ è del 1848 e l’Einleitung’ è del 1857) già gli economisti professionali (accademici e non) si erano resi conto dei pericoli insiti nell’ambivalenza dell’economia classica ed erano corsi ai ripari. In realtà la critica in senso conservatore del sistema classico era incominciata ch’era ancora vivo Ricardo – ‘I Principles’ di Malthus sono del 1820 – ma accanto agli argomenti di Marx che avevano una forma eminentemente tecnica ed erano comprensibili solo ad una ristretta cerchia di economisti professionali, era venuta sorgendo tutta una letteratura economica a carattere divulgativo e popolare che prescindendo completamente dal dibattito critico in corso nel campo scientifico si preoccupava di accreditare come verità eterna i principi dell’economia politica più orecchiabili e più utili agli interessi della classe capitalistica come quelli della “mano invisibile”, della “legge del fondo-salari”, del ‘laissez-faire’ e così via, tacendone del tutto il carattere controverso. Non solo, ma molto prima che Marx rendesse noti i risultati delle sue ricerche, nel campo accademico erano già stati denunciati i pericoli sovvertitori del sistema ricardiano (1). Cosicché la biforcazione delle correnti del pensiero economico è contemporanea all’opera dei grandi classici” [Luigi Occhionero, Il dissolvimento della scuola classica. Economia politica. XXXIV lezione. Lo sviluppo del pensiero economico dai classici a Keynes, Roma, 1955] [(1) Si veda in proposito l’articolo di R.L. Meek in ‘Economica’, febbraio 1950]