“Lo sviluppo del capitalismo avviene nei vari paesi in modo estremamente ineguale. Del resto non potrebbe essere diversamente in regime di produzione mercantile. Di qui l’inevitabile conclusione: il socialismo non può vincere contemporaneamente ‘in tutti’ i paesi. Esso vincerà dapprima in uno o in alcuni paesi, mentre gli altri resteranno, per un certo periodo, paesi borghesi o preborghesi. Ciò provocherà non soltanto attriti, ma un’aperta tendenza della borghesia degli altri paesi a schiacciare il proletariato vittorioso dello Stato socialista. In tali casi la guerra da parte nostra sarebbe legittima e giusta. Sarebbe una guerra per il socialismo, per la liberazione degli altri popoli dal giogo della borghesia. Engels aveva perfettamente ragione allorquando, nella sua lettera a Kautsky del 12 settembre 1882, riconosceva categoricamente la possibilità di “guerre difensive” del socialismo ‘già vittorioso’. Egli alludeva appunto alla difesa del proletariato vittorioso contro la borghesia degli altri paesi. Soltanto dopo che avremo abbattuta, definitivamente vinta ed espropriata la borghesia in tutto il mondo, – e non in un solo paese, – le guerre diventeranno impossibili. E dal punto di vista scientifico, sarebbe assolutamente erroneo e assolutamente non rivoluzionario eludere o attenuare ciò che è precisamente il più importante: la repressione della resistenza della borghesia, che è la cosa più difficile e che richiede la più intensa lotta nel periodo del passaggio al socialismo. I preti “sociali” e gli opportunisti sono sempre disposti a sognare un socialismo pacifico dell’avvenire, ma essi si distinguono appunto dai socialdemocratici rivoluzionari perché non vogliono pensare e meditare sulla lotta di classe accanita, né sulle ‘guerre’ di classe per realizzare questo magnifico avvenire. Noi non dobbiamo permettere che ci si inganni con parole. L’idea della “difesa della patria”, per esempio, è a molti odiosa, perché gli opportunisti aperti e i kautskiani se ne servono per coprire e mascherare la menzogna della borghesia nella ‘presente’ guerra di rapina. E’ un fatto. Ma da ciò non consegue che noi dovremmo cessare di riflettere sul significato delle parole d’ordine politiche. Ammettere la “difesa della patria” nella guerra attuale significa considerarla una guerra “giusta”, conforme agli interessi del proletariato, – e nulla più, assolutamente nulla, poiché nessuna guerra esclude l’invasione. Sarebbe semplicemente sciocco negare “la difesa della patria” ‘da parte’ dei popoli oppressi nella loro guerra ‘contro’ le grandi potenze imperialiste, o da parte del proletariato vittorioso nella ‘sua’ guerra contro un qualsiasi Galliffet (9) di uno Stato borghese. Teoricamente si commetterebbe un grave errore se si dimenticasse che ogni guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi; la guerra imperialista attuale è la continuazione della politica imperialista di due gruppi di grandi potenze; e questa politica è generata e alimentata dall’assieme dei rapporti esistenti nell’epoca dell’imperialismo” [(9) Galliffet, generale francese, noto per la feroce repressione scatenata contro i combattenti della Comune di Parigi nel 1871] [V.I. Lenin, ‘Jugend Internationale’, n. 9-10 settembre-ottobre 1917] [V.I. Lenin, Il programma militare della rivoluzione proletaria, 1949] [V.I. Lenin – Materiali Bibliografici] [LBM*]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:26 Aprile 2014