“Nella prefazione del 1882 alla seconda edizione russa del ‘Manifesto’, Marx indicava nella proprietà collettiva quale esisteva in Russia non solo “un elemento di rigenerazione” di quella società ma anche un possibile “punto di partenza ad uno sviluppo in senso comunistico” (96). Poiché la materia si prestava a fuorvianti confusioni sulla reale funzione degli arcaismi nel quadro del prossimo rivolgimento sociale e politico, Engels pensò bene di cogliere l’occasione di un quesito postogli dall’economista N.F. Danielson per puntualizzare le idee di Marx e le proprie. Gli premeva innanzitutto prendere le distanze dalle posizioni dei populisti russi, che non avevano smesso di guardare alla comune rurale come a una peculiarità slava e strumento venturo di una palingenesi universale in grado di risparmiare una rivoluzione. Alla domanda di Daniel’son – se non potesse “…la comune rurale, essere assunta a base del nuovo sviluppo economico” – Engels rispondeva nelle lettere del 24 febbraio e del 17 ottobre 1893 confutando la tesi di Herzen. Non era il ‘mir’ lo strumento che avrebbe permesso alla Russia di transitare direttamente al socialismo, e convocava a sostegno del proprio assunto i tradizionali argomenti del dibattito, utilizzando però un metodo comparativo accuratamente inserito nella prospettiva storica. E quasi per innescare il confronto, stroncava uno dei più insigni pensatori russi, Aleksandr Herzen (Gercen), cucendogli indosso i panni del proprietario fondiario ignorante la sua parte ma “dalle pretese rivoluzionarie”, incapricciato di panslavismo se non di “russità”. Prima di passare in rivista le riflessioni di Tkacev e di Cernysevskij, metteva sarcasticamente a fuoco la figura di Herzen (…). Di Cernysevskij, Engels riportava, ma senza commenti, un’idea che può parere premonitrice a quanti come noi beneficiano della prospettiva della storia. Il rivoluzionario russo collegava infatti la capacità del paese di marciare nella buona direzione – sulla via cioè della collettivizzazione -, con la scarsa dinamica delle libertà individuali nell’Impero zarista, ma secondo un’ottica ribaltata (…). Se Engels era tetragono ai richiami di sirena dell’età aurea delle origini, se non sprecava commenti sulle libertà individuali e collettive, sul loro impatto e sulla loro eventuale capacità di accelerare o viceversa rallentare l’evoluzione verso una forma di vita comunitaria, si mostrava invece sensibile a un altro versante del problema. A suo avviso la risposta alla crisi del capitalismo ch’egli credeva di percepire in Occidente e agli “antagonismi sociali” poteva essere reperita nella riorganizzazione della società “mediante…il passaggio di tutti i mezzi di produzione, e quindi anche della terra, in proprietà sociale”. La questione successiva consisteva nel sapere se la forma comunitaria ancora predominante in Russia fosse la chiave di volta della transizione al comunismo, innalzando a modello il ‘mir’. Ma che prototipo poteva mai essere il ‘mir’ e quali progressi avrebbe indotto, s’interrogava Engels? Poteva concretizzare una “forma superiore di proprietà collettiva” dopo aver resistito ai secoli “senza che nascesse nel suo seno l’impulso a sviluppare” condizioni nuove?” [Francis Conte, Gli Slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Torino, 1991] [(96) Gossiaux, Famille et tradition, cit., p. 149 (la citazione da Marx e Engels, ‘India Cina Russia’, cit. pp. 244-246; cfr, anche pp. 237 e 238)]