“A sostegno di Lenin interviene in modo più brillante Lunacharskij. Anch’egli si sofferma sull’accusa di Plechanov, che faceva di Lenin un socialista-rivoluzionario: “Affermare seriamente che Lenin è un socialista-rivoluzionario sarebbe strano e assurdo come se in questa assemblea risonasse l’affermazione che il compagno Plechanov è un cadetto” (8). Qui siamo ancora alle prime battute, ma poi, soprattutto al V Congresso, simili affermazioni, seppure non così perentorie, non sembreranno “strane e assurde” in nessuno dei due sensi, poiché il problema centrale sarà proprio quello del rapporto della socialdemocrazia da un lato con le masse contadine e i partiti ad esse legati (in primo luogo i socialisti-rivoluzionari), dall’altro con i ceti borghesi liberali e il partito costituzional-democratico, loro rappresentante. Sempre in polemica con Plechanov, Lunacharskij esalta l'”elasticità” di cui Lenin “ha dato una prova assolutamente inequivocabile quando, sotto l’azione degli avvenimenti, ha fatto il passo dagli ‘otrezki’ (a) di cui era stato il maggior padrino, alla nazionalizzazione” (9). L’apprezzamento era insieme un’ammissione del netto mutamento operato da Lenin nella sua politica agraria. Ma non solo a questa politica si limita l’intervento polemico-difensivo di Lunacharskij, il quale è colpito dal punto in cui Plechanov aveva criticato l’idea di Lenin della “presa del potere”. E’ ovvio che Plechanov non può aver pensato, ragiona Lunacharskij, alla naturale aspirazione di ogni forza politica, soprattutto rivoluzionaria, a riuscire vittoriosa nella lotta per il potere: “No, il compagno Plechanov, evidentemente, aveva in mente la presa congiuratoria, quella stessa che ormai si può vedere forse soltanto all’operetta. Arrivano nel palazzo cinquanta uomini mascherati col pugnale e fanno un colpo di Stato. Ma forse che la vittoria della rivoluzione è legata, in Lenin, a una simile operettistica presa del potere? Nient’affatto” (10). (…) Nell’intervento conclusivo di Lenin sulla questione agraria due punti meritano particolare attenzione. Il primo riguarda la garanzia contro una restaurazione che renderebbe la nazionalizzazione della terra una misura controrivoluzionaria. Lenin precisa che c’è un'”unica garanzia”: “un rivolgimento socialista in Occidente” (11). (…) E precisa poi l’idea del carattere internazionale della rivoluzione russa con un confronto tra questa e la rivoluzione francese (…). Il confronto con la rivoluzione francese e con la rivoluzione del 1848 tornerà spesso, come vedremo, nell’interpretazione e nella polemica della rivoluzione del 1905. Qui basta osservare che, se lo sfondo è una rivoluzione socialista in Europa, la questione agraria, anche all’interno della situazione russa, è soltanto un momento centrale di un’azione politica più vasta: la presa del potere. (…) Continua Lenin: “(…) La preponderanza della popolazione contadina, la sua terribile oppressione da parte della grande proprietà terriera feudale (per metà), la forza e la coscienza del proletariato ormai organizzato nel partito socialista, tutte queste circostanze conferiscono alla nostra rivoluzione borghese un carattere particolare” (16). Carattere particolare che non toglie affatto alla rivoluzione il suo carattere borghese, ma la “distingue dal novero delle altre rivoluzioni borghesi dell’età moderna [e] la avvicina alle grandi rivoluzioni borghesi dei vecchi tempi, in cui i contadini svolgevano un ruolo rivoluzionario rilevante” (17). Questa originale interpretazione storica del carattere specifico della rivoluzione borghese fonda la non meno originale teoria leniniana delle forme del potere rivoluzionario cui essa deve dare luogo, e spiega le posizioni controrivoluzionarie che la borghesia russa deve assumere: “Questa peculiarità determina soltanto il carattere controrivoluzionario della nostra borghesia e la necessità della dittatura del proletariato e dei contadini per la vittoria in questa rivoluzione. Poiché la “coalizione del proletariato e dei contadini”, che riporta la vittoria nella rivoluzione borghese, non è altro che la dittatura democratico-rivoluzionaria del proletariato e dei contadini” (18). Qui Lenin compie una sintesi assai ardita: non ripete le posizioni populistiche, ma le continua innovandole in una strategia più vasta, corrispondente alla nuova situazione storica della lotta di classe in Russia e a una particolare interpretazione dei testi di Marx e di Engels. Il programma strategico diventa davvero grandioso: la rivoluzione in corso è borghese, e non si tratta di operare immediatamente una rivoluzione socialista; ma a dirigere questa rivoluzione borghese è il proletariato in alleanza con i contadini e l’organo di potere statale che è chiamato ad attuare questa rivoluzione borghese senza borghesia è la “dittatura democratico-rivoluzionaria del proletariato e contadini”, che richiama la dittatura giacobina della rivoluzione francese; ma si tratta di una dittatura che non solo realizza “democraticamente” (nei termini di una democrazia giacobina e non liberale) la rivoluzione borghese: altro essenziale compito di tale dittatura sarà la “crescita” (‘pererastanie’) della rivoluzione borghese in rivoluzione socialista. Il vero regista di questa operazione storica, parte di una rivoluzione europea, sarà, evidentemente, il partito, ma il partito così come Lenin lo aveva concepito (…)” [Vittorio Strada, La polemica tra bolscevichi e menscevichi sulla rivoluzione del 1905. (in) ‘Storia del marxismo’, Torino, 1979] [(8) ‘Cetvertyj cit. p. 98. Cadetti” erano chiamati i liberali russi (…); (9) Ibid. p. 99; (10) Ibid. pp. 98-99; (11) Ibid., p. 127; (17) V.I. Lenin, Polnoe sobranie socinenij, vol. 17, Moskva 1961 p. 46; (18) Ibid., p. 44] [(a) “gli appezzamenti di terra che, al tempo della riforma del 1861, i proprietari avevano tolto dalla parte assegnata ai contadini e che, trattandosi di arativi, di pascoli o di zone boschive, erano di vitale importanza per i contadini stessi, costretti così a prenderli in affitto dai proprietari” (V.S., p. 446)] [Lenin-Bibliographical-Materials]  [LBM*]