“Prima di passare ai veri e propri ‘operai agricoli’ mostrerò ancora con un esempio come le crisi agiscano perfino sulla parte meglio pagata della classe operaia, sulla sua aristocrazia. Si ricorderà: l’anno 1857 portò con sé una delle grandi crisi con le quali si conclude ogni volta il ciclo industriale. Il termine successivo scadeva nel 1866. Già scontata nei distretti di fabbrica veri e propri ad opera della carestia del cotone che spinse molto capitale dalla sfera abituale d’impiego alle grandi sedi centrali del mercato monetario, la crisi assunse quella volta carattere prevalentemente finanziario. Il suo scoppio fu contrassegnato nel maggio del 1866 dal crollo di una gigantesca banca londinese, cui fece seguito immediato il tracollo di innumerevoli società di brogli finanziari. (…) Sui postumi della crisi del 1866 ecco l’estratto di un giornale ‘tory’. Non bisogna dimenticare che la parte orientale di Londra, di cui qui si tratta, è non soltanto sede degli operai che lavorano alla costruzione delle navi di ferro menzionati nel capitolo, ma è anche sede di un cosiddetto “lavoro domestico” sempre pagato al di sotto del minimo. “Uno spettacolo orribile si è svolto ieri in una parte della metropoli. Benché le migliaia di disoccupati dell’East End che recavano bandiere nere di lutto non sfilassero in massa, la fiumana di uomini era sempre abbastanza imponente. Ricordiamoci quello che soffre questa popolazione. Essa muore di fame. Questo è il dato di fatto semplice e terribile. Sono in 40.000 (…)” (‘Standard’, 5 aprile 1866). Siccome fra i capitalisti inglesi è di moda descrivere il ‘Belgio’ come paradiso dell’operaio, perché colà “la libertà del lavoro” o, il che è la stessa cosa, “la libertà del capitale”, non è atrofizzata nè dal dispotismo delle Trade Unions né da leggi sulle fabbriche, diremo qui solo poche parole sulla “felicità” dell’operaio belga. Certamente nessuno era più iniziato ai misteri di questa felicità del defunto signor Ducpétiaux, ispettore generale delle carceri e degli istituti di beneficenza belgi, e membro della commissione centrale delle statistiche belghe. Prendiamo la sua opera: ‘Budgets économiques des classes ouvrières en Belgique’, Bruxelles, 1855. Vi troviamo fra l’altro una famiglia operaia belga normale, le cui spese ed entrate annue sono calcolate secondo dati molto esatti, e le cui condizioni alimentari sono poi messe a raffronto con quelle del soldato, del marinaio della flotta militare e del carcerato. (…) Tutto il Belgio conta 930.000 famiglie, di cui, secondo le statistiche ‘ufficiali’: 90.000 ricche (elettori = 450.000 persone), 390.000 famiglie della piccola classe media, in città e nei villaggi, di cui una gran parte precipita costantemente nel proletariato, = 1.950.000 persone. Infine 450.000 famiglie operaie = 2.250.000 persone, fra le quali le ‘famiglie modello’ godono la felicità descritta da Ducpétiaux. Fra le 450.000 famiglie operaie ‘più di’ 200.000 ‘sono nella lista dei poveri!'” [Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica. Libro primo. Il processo di produzione del capitale. III, Roma, 1970]