“La fine del secolo scorso e gli inizi del presente sono stati caratterizzati da progressi così preponderanti del capitalismo che le crisi cicliche parvero solo turbamenti “accidentali”. Negli anni del quasi universale ottimismo capitalistico, i critici di Marx ci promisero che gli sviluppi nazionali e internazionali di ‘trusts’, consorzi e cartelli, introducendo un controllo pianificato dei mercati, presagivano il trionfo definitivo sulle crisi. Secondo Sombart, le crisi erano già state “abolite” prima della guerra del ’14-’18 dal meccanismo dello stesso capitalismo, onde “il problema della crisi ci lascia oggi virtualmente indifferenti”. Ora, a soli dieci anni di distanza, queste parole suonano come inutile beffa, mentre solo nella nostra epoca la previsione di Marx si annuncia nella piena misura della sua tragica urgenza. (…) La crisi del 1929 scoppiò negli S.U., un anno dopo che Sombart aveva proclamato l’estrema indifferenza della sua “teoria scientifica” al problema stesso della crisi. Dal vertice di una prosperità senza precedenti l’economia degli S.U. fu precipitata nell’abisso d’una mostruosa depressione. Nessuno ai tempi di Marx avrebbe potuto concepire convulsioni di tanta ampiezza! Il reddito nazionale degli S.U. era giunto per la prima volta, nel 1920, a sessantanove miliardi di dollari, ma per cadere non più tardi dell’anno dopo a cinquanta miliardi, una diminuzione, cioè, del 27%. Grazie alla prosperità degli anni successivi il reddito nazionale risalì, nel 1929, al suo massimo culmine: 81 miliardi di dollari, che però si riducevano nel 1932 a quaranta, diminuzione d’oltre la metà! Nei nove anni 1930-1938 vennero perduti circa 43 milioni di anni, uomo-lavoro e 133 miliardi di dollari del reddito nazionale, prendendo come base lavoro e reddito del 1929, quando c’erano soltanto 2 milioni di disoccupati. Se tutto ciò non è anarchia, che cosa mai può dunque significare questa parola? Le menti e i cuori degli intellettuali della classe media e dei burocrati delle associazioni sindacali operaie, furono quasi completamente affascinati dalle conquiste del capitalismo nel periodo che va dalla morte di Marx alla Guerra Mondiale. L’idea del progresso graduale (“evoluzione”) sembrava essersi affermata per ogni tempo, laddove l’idea di rivoluzione era considerata un mero relitto di barbarie. Alle previsioni marxiste vennero opposte quelle qualitativamente contrarie sulla distribuzione più equilibrata del reddito nazionale, sull’attenuarsi delle contraddizioni di classe e sulla graduale riforma della società capitalistica. Jean Jaurès, il più acuto dei socialdemocratici di quell’epoca classica, sperava di riempire gradualmente di sostanza sociale la democrazia politica. In ciò sta l’essenza del riformismo. Questa era l’alternativa della previsione. Che cosa ne resta? La vita del capitalismo monopolistico nel nostro tempo è tutta una catena di crisi. Ogni crisi è una catastrofe” [Leon Trotsky, ‘Carlo Marx, presentato da Leon Trotzki’, 1949]