“Un altro dei fattori che rendevano incerto il sostegno dei contadini alla democrazia liberale, era il carattere quasi esclusivamente economico delle loro rivendicazioni. I loro obiettivi politici, se anche ne avevano, erano totalmente negativi: l’abolizione del controllo burocratico a livello locale, l’elezione di rappresentanti che negoziassero direttamente con lo Zar (…). L’aspetto più sentito delle loro rivendicazioni, tuttavia, era quello economico e Weber non poteva che esprimere scetticismo riguardo alle motivazioni in grado di “spingere le masse a partecipare a un movimento che andasse oltre gli interessi puramente materiali” (35). (…) Gli osservatori stranieri, per Weber, tendevano a considerare i contadini russi dei reazionari accesi, mentre i russi stessi ritenevano che avessero la tempra degli estremisti rivoluzionari (36). Entrambi i giudizi potevano apparire esatti. La esperienza storica delle moderne rivoluzioni europee, per i contadini, significava oscillare “tra un estremo radicalismo massimalista e l’apatia (…) o posizioni addirittura reazionarie, dopo che le loro immediate richieste economiche sono state soddisfatte” (37). Il presupposto fondamentale dei liberali era che lo zarismo non era in grado di dare una risposta a queste esigenze, poiché ciò avrebbe comportato l’esproprio dei beni dell’aristocrazia, e che, quindi, i contadini dovevano essere gli alleati della riforma parlamentare. Tuttavia Weber stesso non escludeva la possibilità che, con un atto di forza, l’autocrazia “chiudesse la bocca ai contadini (con la terra!)”. Se ciò fosse accaduto, o se i contadini si fossero semplicemente impadroniti della terra in uno scoppio di anarchia, “tutto il resto, per la gran parte di loro, non conterebbe più nulla e si spegnerebbe in essi qualsiasi interesse per la forma di governo” (38). Considerare i contadini dei convinti sostenitori della democrazia liberale era quindi, secondo Weber, un errore. Anche se essi potevano unirsi ad una coalizione di forze per rovesciare lo zarismo, non potevano fornire alcuna base di sostegno a lungo termine per le istituzioni parlamentari. Né erano in grado di farlo le classi sociali più “moderne”, e cioè il proletariato urbano o la borghesia. Il carattere antiliberale del primo era rafforzato dalla presenza della socialdemocrazia. La seconda era in grado di conseguire i suoi fini grazie alle pressioni dei gruppi di interesse sull’amministrazione. Weber parla della socialdemocrazia russa in tono particolarmente ostile, anche se il suo articolo contiene una acuta analisi delle divergenze tra Lenin e Plekhanov (39). Le ragioni del contrasto, egli osservava, non erano tanto di principio, quanto di natura personale e tattica. Esso traeva origine anche dalle ambiguità del marxismo – come dimostrava l’atteggiamento dello stesso Marx di fronte alla Comune di Parigi e ad eventi analoghi – e dal carattere particolare della tradizione del socialismo russo. L’esaltazione dell’impeto rivoluzionario e l’opposizione contro il determinismo sociale aveva radici profonde nel socialismo russo, come conseguenza, in particolare, di idee hegeliane. Ciò che Weber definiva il “razionalismo pragmatico” di questa tradizione – la sua esaltazione del carattere creativo del pensiero umano – non era mai stato sepolto dal “razionalismo naturalistico” di una teoria deterministica dello sviluppo sociale” (40). Non sorprende, perciò, che in tale contesto Weber non trovasse alcun elemento a sostegno della causa del liberalismo”  [David Beetham, La teoria politica di Max Weber, Bologna, 1989] [(35) “Archiv”, XXII B, p. 280; (36) Ibidem, pp. 333-334; ‘Sulla Russia’, cit., p. 56;  (37) ‘Sulla Russia’, cit., p. 55; (38) Ibidem, pp. 55-56; (39) ‘Archiv’, XXII B, pp. 281-284; (40) Ibidem, p. 283] (pag 258-259-260)